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  Elij Bielutin
 
 

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L'Italia: il sogno di una vita

di Ely Bielutin

Non ho mai osato immaginare che la speranza di trovarmi un giorno nella mia patria si sarebbe realizzata. Mi rammarico di non parlare l'italiano. Lo parlavo a due anni, con mio padre. Mio padre era italiano e anch'io lo sono. Essere italiani a Mosca è ancora più difficile che essere cattolici. Gl'intellettuali, in generale, sono conformisti, ma per essere intellettuali in Russia occorre uno spirito aristocratico e indipendente. Finora lo stato e il partito hanno sempre distrutto gratuitamente e senza motivo la vita e la creatività degli artisti. Dal 1947 in poi non c'è stato decreto governativo che mi abbia risparmiato l'epiteto di nemico dello stato. Eppure, io dico che la Russia è il paese delle meraviglie: se il tuo nome è apparso almeno una volta sul giornale è segno che non ti hanno ancora affossato, se invece non è mai stato citato è sicuro che prima o poi ti faranno fuori. Se sono ancora vivo lo devo a questo. In Russia c'è un mito dell'Italia. Con la loro cultura e la loro tradizione gl'italiani hanno costruito una parte della Russia fin dai tempi delle società feudali. Questo mi rende fiero della terra di mio padre e mi permette di affrontare le difficoltà della mia vita in Russia. Non ho parole per esprimere la mia gratitudine, non riesco a immaginare il giorno in cui dovrò partire. Un anno fa mi trovavo in America; c'era un Festival internazionale cui partecipavano artisti di venti paesi, i miei quadri si sono venduti, eppure io non vedevo l'ora di tornare a Mosca. I quadri che sono esposti nella bellissima villa che fu di san Carlo Borromeo sono per me l'occasione di verificare il mio contatto con voi, con le cose e la natura. Questi quadri sono simboli, i "nodi" che io dipingo sono gli stessi nodi di san Carlo, emblemi di questa villa. Sono sistemi che legano il corpo alle emozioni, agli stati d'animo, anziché alla pura visione. Io e i pittori della mia Scuola lavoriamo sulla base dell'arte di Leonardo da Vinci.

Quasi quarant'anni fa ho scritto la mia teoria dei contatti. L'uomo subisce una pressione dal mondo che lo circonda: per sottrarsi incomincia a bere o a fumare oppure, se non si accontenta, se cerca altro, si mette a dipingere o a pregare. L'arte serve per vivere e gli artisti devono essere in grado di provarlo, di offrire gli strumenti di cui ciascuno può avvalersi per avvertire che c'è dell'altro, che le cose non sono facili e che qualcosa si può intendere. Nei nostri quadri ci sono figure e passioni umane che trasmettiamo secondo uno stato psichico. In ciascun quadro vedete chiaramente delineato un uomo, un uomo e una donna, una donna con bambino. Il corpo, le gambe, la testa, gli occhi… sempre la figura umana. L'arte è una cosa seria, dice della solitudine ma aiuta a intendere che ciascuno di noi fa parte dell'umanità e pone domande cui l'artista deve rispondere. Quando camminiamo per strada, ciò che incontriamo non sempre ci piace né siamo in grado di capirlo. L'inquietudine, il conflitto che si crea, ci fanno sentire vivi, ci distinguono dalle cose. […]

[…] In occasione della grande esposizione alla sala del Maneggio, nel 1967, dipinsi il quadro dal titolo I funerali di Lenin. Lenin è nella bara, la gente intorno a lui esprime passioni e tragedie di quegli anni. Lui se ne sta lì tranquillo e quasi sorridente. L'ho dipinto due giorni prima del mio incontro con Chruščev. Poi i miei quadri e quelli dei miei allievi sono stati confiscati e in parte distrutti. Allora ho comprato una casa a Abramcevo, ho fondato una scuola e allestito un atelier. L'anno dopo, hanno distrutto anche l'atelier. L'abbiamo ricostruito, non potevamo fare altrimenti. Per sopravvivere abbiamo dovuto combattere anche contro le autorità. Così sono nati i quadri che portano il titolo Vittoria. In quella battaglia mi ha aiutato l'anello che era di mio padre e che porto sempre al dito. Ciascuna delle mie opere dice di una condizione particolare. All'epoca, come forse oggi, le cose più agghiaccianti erano normali, quasi banali. Chi ha governato l'Unione Sovietica per settantacinque anni ha cercato di trasformare gli uomini in nulla, in robot, soffocando l'arte al suo apparire. In alcuni casi, gli artisti hanno seguito i loro padroni. Ho vissuto in un paese dove sono stati sterminati sessantotto milioni di persone: fucilati, morti di fame e di stenti. A due anni ho perso mio padre, ucciso dagli uomini di Stalin. A sedici anni ho combattuto contro i nazisti: era una guerra orribile. Immaginate il freddo della Russia e la gente impreparata alla guerra. Attaccavamo con bottiglie piene di carburante perché non avevamo armi. Sono stato fortunato, ho combattuto solo per tre mesi, ma una cancrena alla mano sinistra mi ha costretto a interrompere lo studio della musica. Dopo quell'esperienza non potevo pensare all'arte come a un divertimento; ho pensato che l'arte dovesse essere qualcosa che sta tra l'uomo e Dio.

Ho visitato Milano, in questi giorni. Il Castello Sforzesco, l'Accademia di Brera, i musei. Ho visto il Duomo e all'improvviso ho capito che bisogna dipingere per il Duomo anziché per i musei. Una volta, in Russia, alcune scuole d'ingegneria militare invitavano gli artisti a lavorare presso di loro. La cosa era possibile perché nessun artista, per lavorare, s'interessava a quanto accadeva nella scuola. Ci sono andato anch'io, e ho conosciuto scienziati fermamente convinti non solo che Cristo fosse veramente esistito ma che l'esistenza di Dio influisse sul carattere degli uomini; mi parve una considerazione fine e precisa. Ho parlato con il primo uomo sceso sulla luna, il cosmonauta americano Armstrong. Abbiamo discusso di Dio e ho constatato che la sua idea di Dio è simile a quella di noi cattolici. Gli scienziati sovietici, invece, studiano Dio come se fosse un oggetto meccanico. Questo mi preoccupa perché una tendenza simile esiste anche nell'arte.

Dico spesso agli artisti miei amici di occuparsi di arte italiana, di cogliere lo spirito dei maestri italiani. In America, ho visto sculture di Henry Moore e di Zadkin e sono rimasto colpito dalla razionalità delle loro opere. Gli americani mi hanno detto: "L'arte italiana non si può imparare, quello che facciamo noi è più razionale". Ho risposto che l'arte è appunto qualcosa d'impossibile da spiegare, ma che si può capire, si può intendere. Non sono il solo a pensarlo. Nella mia scuola ci sono più di cento artisti che seguono i principi dell'arte rinascimentale. Del Rinascimento abbiamo conservato anche la consuetudine di appendere nell'atelier un cestino con i soldi per chi ne abbia bisogno; spesso pranziamo e ceniamo insieme, è indispensabile per la nostra collaborazione. Ciascuna volta constatiamo che siamo uomini, non militari. È la cosa più bella. […]

[…] Milano offre una sensazione meravigliosa, sembra che da qui sia stata costruita l'Europa. Per strada, edifici moderni accanto a costruzioni del XVI e XVII secolo. Osservi l'architettura del Bramante e la Pinacoteca di Brera, così austera e colma dei capolavori che hai sognato fin da quando eri piccolo, e cominci a provare un sentimento che anche Dio deve aver provato: bontà, bellezza, armonia. Senti la vita che tante volte non sai apprezzare. Bellini, Raffaello, Leonardo ti fanno scoprire la ricchezza dell'animo umano. Di fronte al Teatro alla Scala, il monumento a Leonardo da Vinci. Un'altra cultura, un'altra ricchezza spirituale. Come non ricordare l'arte di Caruso e di Pavarotti? Come separare un'arte da un'altra? Come distinguere la pittura dalla musica, l'architettura dalla letteratura? Per questo davanti alla Scala c'è Leonardo.

Un amico, nato in piazza del Duomo, mi diceva: "Capirai l'Italia solo se visiterai la cattedrale di marmo di Milano". Sono d'accordo con lui. Se dopo aver visitato la Pinacoteca di Brera entri nel Duomo cominci a capire che l'arte sta lì, non ai muri dei musei. I quadri al muro sembrano quadri artificiali. Splendidi, certo, per lo spirito umano che racchiudono, ma solo quando ti trovi nel Duomo capisci perché gli artisti creano le loro opere: per queste volte, per queste colonne, per questa splendida cattedrale. Sono qui per la prima volta. È una cosa meravigliosa.

Questo sentimento di grandezza riempie di una forza enorme e induce a avere fede. Dopo questo viaggio mi chiedo perché vivo, perché sono un artista e a che cosa serve la mia arte.

 

Il materiale qui presentato è tratto dai volumi Il nostro paradiso e Altre galassie.

 

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