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  Elij Bielutin
 
 

SCRITTI

La tipografia di Ely Bielutin

di Armando Verdiglione

Di ritorno da San Pietroburgo, ai primi di maggio 1992, a Mosca, telefono all'artista Ely Bielutin. Ho sentito intorno a lui in Russia cose contrastanti: cose interrogative o parzialmente reticenti da parte di altri artisti e cose di assoluta stima da parte di scrittori, intellettuali, storici, critici e esperti del settore, filosofi. In Russia, come in Europa centrale e occidentale, in America, in Giappone, negli ambienti artistici e culturali, Bielutin è sentito come artista intellettuale. Con proprietà e qualità esulanti da un ambito angusto. La sua particolarità è idioma, dissidenza, logica. Dirla dissenso vale a ridurla a un'opposizione funzionale al sistema come tale.

Secondo la sua particolarità procede l'esperienza di Bielutin, come risalta già dalle opere che nella loro casa, egli assente, mi mostra cortesemente sua moglie Nina – donna bella, squisita, nobile, fine, intelligente. Una trentina di opere su tela o su cartone o su carta. Pochissimi tratti, sulle tele grandi. Qualche tratto in più, nelle opere su carta. [...] Mi chiedo donde proceda, e secondo quale logica, quanto colgo, in ciascuna opera, come qualcosa di unico. Gentile Nina. Lei lascia che io continui a guardare, a scrutare le opere. E mi spiega che l'atelier sta altrove, che lì si trovano tante opere. Parto malvolentieri da quella casa accogliente, museo, fra l'altro, della migliore arte del rinascimento italiano e europeo. Ho avuto modo di visitare collezioni private a Mosca e a San Pietroburgo. La collezione della casa di Bielutin è bella e importante.

Di ritorno, per un mese, a Milano, a Parigi, a Roma, parlo molto, entusiasta, di Bielutin. Sui cui cataloghi mi soffermo più volte. Arrivo fino a sognare alcune opere. Torno da Bielutin dopo un mese, prima del congresso di San Pietroburgo.

Ely Bielutin: sobrio, sorridente, disposto all'ascolto. Accenniamo agli anni bui. Un'ombra fugace. Tanto basti alla traccia dell'inconciliabile. Assoluta tranquillità. E pace. Per due volte percorriamo la serie delle opere antiche a casa e la serie delle opere nell'atelier, un sotterraneo angusto dove ha lavorato e lavora, a Mosca. Nella dacia ha un atelier vasto. Opere del primo rinascimento, dunque. E opere del secondo rinascimento, quelle di Bielutin. Non già in senso periodistico. Non già rispetto alla storia. Ma per quanto attiene alla logica e alla struttura della parola. [...]

Nulla di postmoderno nell'esperienza di Bielutin. E nessuna cristallizzazione nella modernità come tale. Niente ripasso e niente ripercorso. Alla modernità, Bielutin aggiunge qualcosa di essenziale: ne offre la cifra nella propria opera.

 

Estratto dal volume Artisti.

 
 

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