FABIOLA GIANCOTTI Quando ha incominciato a dipingere?
MONTEVAGO Cinquant’anni fa, circa.
Cinquant’anni fa lei aveva vent’anni…
Sì, avevo vent’anni…
A Catania?
Sì, a Catania. La gente era sorpresa, impreparata. Non capiva.
Non capiva lo stile o non capiva la tecnica?
Lo stile, il particolare, la differenza. Facevo allora una pittura basata sul cosiddetto figurativo. L’ho proseguita fino agli anni sessanta. Poi ho capito che avrei potuto rischiare qualcosa di più. E ho avanzato un’altra nozione di figurativo. All’inizio, i temi che servivano da pretesto erano dati dai paesaggi, dalle nature morte, dai ritratti. In seguito, qualcosa mi ha portato a dipingere in questo modo, a usare questi colori che sono colori importanti con cui racconto le storie della mia vita. Gli anni sessanta erano anni in cui ciascuno cercava qualcosa anche nella scienza, anche oltre il nostro pianeta, erano gli anni in cui molti s’interessavano al fantastico. Queste sono opere nelle quali, in qualche modo, rientrano ora il fantastico ora la fantascienza. E non solo. Queste opere dicono che gli uomini non possono e non devono distruggere la terra dove essi vivono ancora. Gli uomini possono compiere una svolta per evitare la distruzione di se stessi e della terra. A questa svolta io contribuisco con la mia opera.
Da dove viene la luce che lei dipinge nelle sue opere?
Dallo spirito. Prima della luce ci sono altre cose, ci sono il bene e il male, la vita e la morte, il giorno e la notte. L’uomo tenta la distruzione. E qualcosa distrugge. Per una contraddizione che forse si aggiusterà nel tempo. Io ho incontrato molte persone. Ho avuto molti amici e, nel corso della mia vita, ho capito che moltissimi uomini lavorano per costruire qualcosa di essenziale per la civiltà.
E qual è l’indicazione che lei, come artista, dà a questi uomini rispetto alla vita?
Di avere i piedi per terra nel senso di non pensare mai solo di arricchirsi. Ma ho sempre avuto fede.
Che formazione ha avuto?
Ho colto moltissimo dal cattolicesimo ma anche dal teatro, dalla letteratura, dalla pittura …
Lei viene dalla Sicilia…
Sono nato in Sicilia. E in una famiglia meravigliosa. Mio nonno aveva una piccola industria, che poi mio padre ha proseguito. E questo ha permesso alla famiglia di avere alcune proprietà, di studiare, di vivere.
La Sicilia ha tradizioni che si ritrovano nella sua opera.
Molti, fino agli anni sessanta-settanta, vedendo le mie opere dicevano: “Sì, la sua pittura non la capisco però mi piace”. Ma a me interessa che sia colto anche il messaggio. M’interessa, anzitutto, che ciascuno possa vivere in pace. In un mondo migliore. Sento, con la mia opera, di dovere compiere una missione intellettuale, etica, spirituale. Nella vita, ho affrontato ogni cosa, ho lottato, ho proseguito… Sono convinto che le mie opere resteranno.
E quali sono stati i suoi riferimenti?
Ho frequentato molte persone, gente povera, gente ricca, gente importante… Grazie a loro, apprendevo, ascoltavo, facevo progetti…
Quindi lei ascoltava i racconti di molte persone quando era piccolo? Ha avuto i nonni, parenti…
Parenti, migliaia di parenti!
Ha avuto amici che le raccontavano le storie? O erano storie che lei raccontava loro?
Certe volte le raccontavo io. Poi, durante il periodo teatrale, che è stato bellissimo, io scrivevo piccole storie, che recitavo con una piccola compagnia di teatro. Facevo anche il comico.
Ha trovato un entusiasmo rispetto al teatro perché poteva raccontare storie a modo suo?
Le inventavo, le storie. E inventavo anche il modo di recitarle. Solo che anche allora era difficile perché io volevo studiare, e i miei genitori mi spingevano a proseguire gli studi. A quei tempi molti morivano di fame.
Questo era prima o dopo la guerra?
Prima e dopo. Dopo, di più perché la gente non trovava lavoro e non guadagnava. In quel periodo, provai anche con l’avanspettacolo e ci riuscii abbastanza bene.
Lei ha visitato tutta la Sicilia?
Negli anni giovanili, sì.
Cosa ha trovato?
Sopra tutto la cultura, la tradizione e la dolcezza della gente, della gente umile anzitutto. Questi contadini, questi piccoli lavoratori avevano una dolcezza straordinaria.
Per dolcezza lei intende anche l’ospitalità?
Le persone sono ospitali. Forse sarò presuntuoso: dico che la Sicilia è apportatrice di cultura, d’intelligenza. I siciliani capiscono al volo. Ascoltano, guardano, stanno attenti. E c’è amicizia, c’è correttezza. Se uno è amico, è amico. Io sono qui, ma sono sempre amico dei miei amici, anche se non li vedo.
Diciamo che c’è un interesse verso l’altro che non si esaurisce solo con la presenza. E sempre rispetto alla Sicilia, nella sua opera, la notte non esclude il giorno. Di che cosa si tratta?
Aspetto la mia stella e la soddisfazione di avere dato qualcosa agli uomini. Ho la convinzione, anzi la certezza, che qualcosa della mia arte resterà. Il destino dell’uomo non è la distruzione. Sento che è così. Occorre che anche altri lo sappiano. Però, ciascuno deve essere anche educato, deve avere e trovare gli strumenti per educarsi. Sarebbe troppo facile giudicare il cattivo o il buono. La missione dell’artista è capire e intervenire.
E lei come pensa d’intervenire? Può fornire qualche strumento?
È difficile, ma si può.
Come?
Ascoltando, accogliendo, dipingendo. Con la mia pittura do qualche cosa anche alla Sicilia. Ma non sono un uomo politico…
Ciò che può fare un artista non può essere fatto da un politico.
Però all’artista si deve dare la possibilità di potere farlo. Altrimenti, non farà niente. Con i miei dipinti, faccio in modo intellettuale e in modo artistico. Ma, nel senso sociopolitico, posso fare ben poco. Nessuno mi ascolterebbe.
L’intensità è in queste opere. La città, la sua, non è la città terrestre…
È la città planetaria. Questa città è la vita. È il nostro pianeta. È l’uomo. Di ciascuna delle mie opere posso dire qualcosa. E dico anche che non ho copiato, e che ciò che ho fatto, il modo in cui l’ho fatto, procede da una forza che ho sempre avuto, non ricordo che qualcuno me l’abbia insegnata. A volte vedo pittori, magari bravi, che non hanno questa forza, questa intensità. Lavoro da cinquant’anni. Quando facevo questi grandi pannelli, nessuno li aveva fatti prima. Anche i geroglifici li facevo quando altri non li facevano.
I geroglifici, lei da dove li trae?
Così. Sono venuti. Sono nati anche attraverso la geometria.
Lei ha messo sempre la stessa intensità nel fare un’opera, o ritiene che ci siano opere migliori di altre?
Sta parlando di tutte le mie opere? Ogni opera ha il suo istante. Come si fa a dire se un’opera è migliore di altre?
Ha un’idea di capolavoro? Potrebbe dire: questo è il mio capolavoro?
È difficile. Anche se lo dico, sbaglio. Però, certo, ormai con la mia esperienza, posso dire che un’opera è più riuscita di altre, senza dubbio.
Alcuni artisti non erano mai contenti della loro opera.
Neanche io.
Ha mai avuto ripensamenti?
No, assolutamente. Nel momento in cui concludo l’opera, io già so che l’opera è compiuta.
Ha lasciato mai qualche opera incompiuta?
Mai.
Ha mai distrutto qualche opera?
Mai.
E ne ha mai rifatta qualcuna?
Mai. Nemmeno io posso rifarle.
E ha mai fatto un’opera sull’altra? Ha cancellato un’opera per farne un’altra?
Questo forse qualche volta è successo, ma per altri motivi.
Per quali motivi?
La vedevo in una maniera e poi invece…
… ha trovato un’altra ispirazione.
Si.
E queste sue opere le dedica a qualcuno o le fa, diciamo per…
… l’umanità.
Dedicate all’umanità.
Nella speranza che vengano bene accolte.
I programmi per l’avvenire?
Programmi per l ’avvenire ne ho tantissimi.
Questa sua missione è compiuta o…
No, assolutamente. Siamo sempre all’inizio.
Cosa si aspetta dai suoi lettori?
Nel sud, quando andavo a fare le mostre in varie città, mi capitò una volta un uomo di una certa età che mi disse: “Ma lei, da dove viene, chi è?”. Questa è stata una cosa bellissima.
Come ha capito che la sua strada era quella della pittura?
L’ho capito da ragazzo. Ho capito che dovevo fare qualcosa, non pensavo allora alla pittura, ero molto spirituale.
Per spirituale, lei intende che leggeva, pensava, scriveva?
Certo, scrivevo, facevo piccole sculture. Ma me ne sono ricordato di recente quando ho ricevuto una telefonata di una signora, figlia di un mio carissimo amico di Catania, che mi ha detto di avere ritrovato, nella sua casa, sculture e dipinti miei che diedi a suo padre molti, molti anni or sono.
Il materiale di questo sito è tratto dal libro d'arte "Montevago. La Sicilia. Le dimensioni della parola. Il piacere della civiltà", a cura di Fabiola Giancotti, Spirali/Vel 1999
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