Fabiola Giancotti intervista Antonio Vangelli (estratto)
ENZO NASSO L'idea che un artista ha della vita è importante.
ANTONIO VANGELLI Io sono anarchico, libero.
E. N. Sei anche un grande filosofo. Un fenomenologo.
A. V. No. Fenomenologo no. Sono nella vita, e basta. Perciò rispetto la vita. È già molto essere nella vita. C'è la storia, c'è l'arte…
E. N. Ma di fronte alla vita sei sospeso o a mezz'aria?
A. V. Forse a mezz'aria. Forse sospeso. Certo, non sono atterrato. Ma è solo una sensazione. Di questa terra forse non riesco a recepire molto. Perciò resto sospeso e non atterro completamente…
E. N. Quello che io ritengo importante è la teologia della tua arte.
FABIOLA GIANCOTTI Perché lei dice "teologia"?
E. N. Teologia è una speculazione filosofica non di tipo razionale, ma di tipo quasi mistico. Teologia nel senso di un rapporto con qualcosa di quasi estraneo alla vita reale. Questa teologia non è la teologia ecclesiastica cioè un fatto speculativo sull'esistenza di Dio.
Noi diciamo Dio per dire quanto non si vede nelle situazioni reali, di realtà, di vita. Io la chiamo teologia; si può chiamare anche in altro modo.
A. V. Si potrebbe dire che siamo assistiti. Non siamo soli.
F. G. "Assistiti", in che senso?
A. V. Assistiti nella vita, nel complesso della vita. Assistenza non analizzata…
F. G. Assistiti nel senso che c'è qualcosa che opera?
A. V. Assistiti nel senso che c'è qualcosa che opera tramite noi. Noi siamo mezzi, mezzi che traduciamo quello che si può tradurre, nel senso non precisato.
F. G. Per lei è sempre stato così, oppure l'ha acquisito lungo la vita?
A. V. Fin da bambino.
E. N. Il padre, Emidio, era un grande artista figurativo e la madre una danzatrice.
F. G. Ha avuto anche molti fratelli, mi pare…
A. V. Quattro fratelli e due sorelle.
F. G. Lei è il più giovane?
A. V. Il più giovane.
E. N. Quando già gli altri fratelli avevano trovato la loro strada, Antonio era rimasto legato al padre… Abitavano a Trastevere, nel cuore di Roma…
A. V. Mio padre e mia madre. Io sono figlio di queste due persone… Qualitative… Ho qualcosa sia dell'uno sia dell'altra…
F. G. Quindi, lei si è confrontato con loro…
A. V. Anzitutto, fin da bambino non ho rifiutato questa funzione; però, trovando la mia via. Non so se mi spiego: non mi sono ribellato…
F. G. Non si è ribellato al mito che si è instaurato rispetto al padre e alla madre.
A. V. Sì, perché non è rigetto. Due persone completamente differenti quali papà e mamma, io li assumo, non li rifiuto. E riconosco a ciascuno una validità.
Mio padre era un grande pittore. Con tre sue lezioni, io diventai pittore. Diceva: "Chiudi gli occhi. Vedi la profondità dei colori del cielo? Dimmi i colori del cielo.
Apri gli occhi, guarda". E ancora: "Prima dipingevi in un modo; adesso non dipingi più come io ti ho insegnato, e ciò significa che tu cerchi qualcosa".
Era un uomo intelligente.
F. G. Diceva di qualcosa che opera costantemente.
A. V. Continuamente. Dall'infanzia alla giovinezza, ancora oggi. Lei vedrà i miei libri e vedrà che i colori seguono il ritmo, si dispongono come in una scala musicale.
E. N. Vangelli ha cercato di apprendere lo stile del padre, ma si è immediatamente distaccato dal figurativo per intraprendere la sua strada, fin dall'inizio.
A. V. Erano già i tempi della trasformazione e dell'influenza che veniva da altri paesi… Nelle mie opere raccolgo il gioco delle mie mani nella composizione.
F. G. È interessante perché oltre che dell'operazione lei dice anche della funzione.
A. V. Non sono io che opero.
F. G. E questo l'ha individuato bene Enzo Nasso che ha parlato di teologia.
A. V. Nasso è un grande artista, e di qualità.
F. G. La teologia di cui parla Nasso sembra l'operazione di cui parla lei. Nasso ha fatto una lettura interessante della sua opera.
A. V. Lui è come me.
E. N. Siamo legati da sessant'anni di amicizia.
A V. Mi ama perché lui vede me in lui e io vedo lui in me. Ma non siamo precisati… non vogliamo essere…
F. G. È una questione di fede. Ciò che opera…
A. V. … io non voglio conoscerlo…
F. G. E comunque è al di fuori della conoscenza.
A. V. Non voglio conoscermi. Mi accorgo di essere un somaro per la conoscenza. L'accetto, però…
La conoscenza, come io la intendo, incomincia con uno slancio, con una spinta. Come quando sono nato. Già nascendo, io sto nella vita.
E. N. Ma la cosa interessante da cercare di capire è quel percorso tra la bassa e l'alta conoscenza.
F. G. Più che altro, alto-basso.
A. V. Non c'è un fine. Alto-basso: non puoi pensare che raggiungi qualcosa, ma che sei in marcia… E ti accorgi del dubbio. Anche Fidia aveva il dubbio.
F. G. E l'operazione infatti procede dal dubbio.
A. V. Io che vivo duemilacinquecento anni dopo Fidia, nel Duemila, mi accorgo del dubbio, anche vedendo Fidia.
L'opera d'arte, la prendi e la distacchi; la riprendi e continui a distaccartene.
Altri guarderanno quello che io guardo con la medesima estasi con cui si ammira il sole. Perciò io dico che le opere d'arte sono nell'ambito solare;
sempre presenti alla nostra conoscenza.
F. G. Il sole, come lo considera?
A. V. Senz'altro come luce. Tutte le cose della vita si trovano in una luce solare. Solo la mediocrità esclude la luce.
E. N. In questa situazione, l'uomo preistorico dove si situa?
A. V. Attenzione, noi attingiamo nella parte buia dell'uomo preistorico.
ANTONIO VACCA Qui, Antonio Vangelli si riferisce al viaggio dell'uomo negli spazi delle galassie. L'uomo preistorico non è che quest'uomo atterrato sulla terra che, prima di partire da dove è partito, ha perso completamente la conoscenza. E che, sulla terra, la riprende secondo un programma già deciso.
All'inizio, egli trova sulla terra solo gli animali.
A. V. E attinge dagli animali l'esigenza scientifica. L'animale beveva dove doveva bere: poteva percepire dove non doveva bere perché vi erano erbe velenose.
Gli animali avevano più conoscenza dell'uomo. L'uomo che viene sulla terra è anch'egli un animale. E come animale segue le regole della conoscenza animale.
Noi viaggiamo nell'universo. Abbiamo viaggiato parecchie vite… Spostiamoci un momento nella preistoria.
Nell'eternità della vita, l'uomo sarà sempre presenza nella vita, perché sarà il giardiniere della vita.
Controlla gli animali perché gli animali, all'inizio, insegneranno all'uomo. Poi l'uomo preistorico diventa alta conoscenza e, nella traslocazione
(quando dovrà ancora traslocare), non si porterà altri animali perché la sua conoscenza entrerà in un altro spazio.
F. G. E il processo come prosegue?
A. V. Si ripete sempre uguale.
F. G. E l'artista?
A. V. L'artista continuerà sempre… Attingere nella parte buia ci darà l'idea del modo in cui noi oggi dobbiamo esistere e vivere.
F. G. Questa parte buia, lei la intende come oblio?
A. V. No. È l'alta conoscenza.
F. G. Di cui noi abbiamo o non abbiamo la percezione?
A. V. Noi abbiamo la percezione delle cose necessarie nell'ambito solare, non oltre. Noi non possiamo sapere quello che avverrà. Però attingiamo sempre da lì.
A. VACCA In altre parole, noi siamo qui ed è necessario che noi siamo qui. Non facciamo niente che non esista già nella parte buia.
F. G. Rispetto a questa parte buia, noi traiamo da essa qualcosa e in qualche modo la rielaboriamo?
A. V. No. Non puoi conoscere tutto della parte buia…
E. N. Antonio, un po' della tua biografia.
A. V. Nel dissidio della guerra, un generale mi domandò (all'epoca, come adesso, io ero veramente ignorante): "Caro Vangelli, voglio sapere da te dov'è Danzica".
Era il 1940: seconda guerra mondiale. Ero giovane, avevo vent'anni e non capivo… Dissi: "Generale, lei sa meglio di me com'è la situazione.
Io non conosco Danzica, non conosco niente di quello che sta avvenendo. Come è avvenuta questa guerra contro Danzica?".
Disse: "Perché abbiamo occupato Danzica". E io: "Beh, questo lo dice lei, io mi rimetto alla sua conoscenza".
Poi gli chiesi: "Prenda una conculina in cucina e la riempia di acqua. Lei ha detto che da Danzica è iniziata la guerra, getti una pietruzza sull'acqua della conculina. Poiché la conculina è sferica, l'acqua va su e poi ritorna giù". "Che cosa vuol dire la conculina?", mi domandò il generale.
E io: "Lei mi ha detto che gli altri erano un po' matti e anch'io sono matto, non sono normale".
"Ma io non capisco questa conculina", ribadì il generale. "Lei ha buttato il sassolino, e dice che da Danzica è incominciata la guerra mondiale.
Però, buttando il sasso nella conculina, le conclusioni le trarrà lei. Io più di questo non posso dirle".
E. N. Tuo nonno è stato un eroe del Risorgimento; le poste italiane hanno addirittura emesso un francobollo. Tu sei nato a Trastevere. A un certo punto però i tuoi genitori si sono lasciati. Tu sei vissuto più con tua madre o con tuo padre?
A. V. Io sono stato molto con mia madre.
E. N. Ma quando tuo padre ti portava in collegio?
A. V. Quando mi portava in collegio era una cosa stupenda. Mi traslocava da una parte all'altra. Io facevo soltanto viaggi di trasloco.
Una volta vinceva mia mamma e una volta vinceva mio padre. Logicamente, mi ero ambientato nei traslochi.
Quando il giudice diceva: "Viene assegnato alla mamma", io stavo con la mamma; poi, vinceva mio padre e allora mi portava a vedere il Monello di Chaplin.
Io assomigliavo molto al monello. Nel vestirmi, mio padre ci teneva a essere lui Charlot e io il monello.
E si divertiva a portarmi in giro, a volte mi rapiva; mi portava in viaggio, in Sicilia, in Calabria.
Dopo tre ore, era l'epoca fascista, arrivavano telegrammi in tutte le stazioni di polizia che dicevano di cercare un bambino.
Mia madre, infatti non avvertiva che il bambino era con il padre. "Non c'è più il bambino"… e logicamente si doveva cercare il bambino.
E. N. Tuo padre cosa ti diceva quando tu dipingevi in quel modo diverso dal suo?
A. V. Mio padre mi diceva: "Antonio, adesso ti porto a vedere le corse alle Capannelle.
Prendi un foglio di carta…". Io tutto pronto, in attesa che partissero i cavalli, ne dipinsi uno. Allora mio padre mi disse: "Attento, guarda bene.
Stai attento, arrivano i cavalli". Ho guardato con la massima attenzione e dopo il primo giro gli dissi: "Papà, non riesco a disegnarli".
E mi rispose: "L'importante è che tu li abbia visti". Non mi disse che avevo sbagliato, o che dovevo disegnare: "L'importante è che tu li abbia visti".
Mio padre mi ha insegnato a vedere, perciò io ho visto meglio di tutti e non quello che possono vedere tutti, ma l'entità.
Nelle mie opere lei deve vedere l'entità. Se non riesce a vederla, non potrà mai capire Fidia. Fidia non è la scultura: è l'entità dell'opera.
L'entità dell'opera non è il volume dell'opera.
E. N. Quando hai cominciato a vivere perché altri mestieri non ne hai fatti tu hai fatto solo il pittore.
A. V. Da grande ignorante quale sono, ho sempre inteso fare un percorso, non necessariamente da pittore.
Anzitutto, ero un atleta. A un certo punto mio padre mi diede il fioretto, poi a diciotto anni ho fatto il salto in lungo…
Ero sui giornali già a diciotto anni con Massimo Serato, che era un mio amico.
Ricordo che mi diceva: "Nudi, siamo tutti belli, ma quando siamo vestiti…", infatti io venivo da Trastevere, un quartiere popolare, e lui dai Parioli…
E. N. Per quel che mi ricordo, Antonio Vangelli come pittore era già noto e ammirato all'interno di piccolissimi gruppi, fin dal 1938-39.
Uno dei suoi estimatori era Gino Severini. Nel 1940, io pubblicai un suo primo disegno: un pagliaccetto con un segno.
A. V. Non era tanto il disegno del pagliaccetto, c'era la carica, c'era il distacco. Fin dall'inizio.
Lei può essere poetessa, ma se non si distacca nella lettura della sua poesia, se non sa distaccarsi, come lettrice, dalla qualità del suo scritto...
F. G. Il distacco è la condizione per cui le cose che si fanno, si scrivono e restano.
A.V. Questo è il percorso. Poi c'è sempre l'incidente poetico. L'incidente poetico fa la poesia. […]
Il libro d'arte "Antonio Vangelli. La festa della vita", a cura di Fabiola Giancotti, Spirali/Vel, è disponibile al sito dell'editore
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