Armando Verdiglione intervista Antonio Vangelli
Tu dici che l'opera non è un quadro. Che l'opera è vibrazione.
È l'entità che si mette a contatto con il lettore. L'opera dell'artista è la natura. E un quadro è un punto d'incontro, una recita che si ottiene quando due elementi si dirigono a un vertice …
È un incontro artificiale…
Quasi di assistenza, un incontro nell'armonia delle due parti. Anche nella conversazione…
Nella pittura, riconosci di avere avuto incontri importanti con maestri, oppure i maestri si trovano tutti nei musei?
Anche l'amicizia è un incontro. Mio padre, però, era un maestro, al di là della professionalità.
Oltre a tuo padre, ci sono stati altri maestri?
Sempre mio padre.
Hai mai fatto un autoritratto?
Sì, per Cesare Zavattini. Un piccolo ritrattino, nel 1943.
Zavattini l'ha fatto a te?
No, io l'ho fatto a me stesso, voleva che ogni pittore si facesse un ritratto.
Tu stimavi molto Zavattini?
Sì, lo incontrai nel 1943, alla Galleria La Campana, dove feci una mostra con Emilio Vedova e Giulio Turcato.
La tua mostra più grande, dove l'hai fatta?
Io cambio continuamente
Ti rinnovi…
Nel senso che non posso ripetere un quadro, rinnovo un modulo: come un concerto che si ripete, come un direttore d'orchestra che deve dirigere Beethoven…
Tu sei il direttore d'orchestra o il compositore?
Entrambi. Quello che m'interessa è che la mostra dia i passi agli amatori, loro devono divertirsi camminando nella mostra, non m'interessa il quadro,
cerco di far giocare fra un quadro e l'altro su un passo di libertà.
Il passo della libertà.
È un modo di camminare nel giardino, un modo di trovare una convivenza con la natura e con la tua passeggiata.
In questa passeggiata nel giardino, ciascuna opera…
… va fuori dal giardino per poi ritornare ancora nel giardino.
C'è una convivenza tra l'uomo e il giardino, come con tutte le cose che noi facciamo, anche tu sei nel giardino della tua operazione.
Quindi anche tu fai parte del giardino, non soltanto l'uditore.
Anche noi siamo amatori del giardino: in fondo, l'opera d'arte si distacca dall'artista, come Fidia.
Come mai tu citi spesso Fidia?
Fidia, come Michelangelo o Picasso.
Dicevi che ciascuna opera non è mai finita, ma compiuta.
L'opera d'arte non finisce, segue la presenza solare nell'opera… dico solare nel senso del pensiero che non è mai finito.
Dici solare nell'accezione d'infinito.
Nel quattromila, Michelangelo verrà visto dalla platea del sole con le medesime esigenze che abbiamo noi ora, nel vertice della presenza del sole.
Il sole come vertice?
L'opera d'arte è solare, ma non la fa il sole. L'artista preleva l'opera dalla sua esigenza solare e la riproietta nel sole all'infinito.
Per questo, tutti gli uomini del tremila-quattromila ritorneranno a Dante, a Michelangelo…
Tu dici che l'infinito sta nell'opera e procede dal vertice, dalla verticalità.
Il vero artista si distacca dalla sua opera e ha il dubbio della sua attività professionale. In Michelangelo, tu rivivi, nel futuro, la presenza di avere amato Michelangelo.
Preferisci Michelangelo o Leonardo?
Non si può stabilire. C'è Caravaggio… ciascuno ha una luce unica. Siamo diversi, ma c'è una luce unica. La cultura è la parte elevata, ma la luce è sempre unica.
Sopra tutto la luce.
Dall'arte noi preleviamo quello che gli artisti hanno fatto.
Tu dici che l'arte fa l'artista e non l'artista fa l'arte.
L'artista guarda con gli occhi di Dio. Guarda questo immenso come se potesse vedere, con gli occhi dell'artista, il paesaggio del suo creato di Dio. Dio guarda la sua attività anche con il dubbio, io penso; anche l'artista guardando la natura ha un fascino di estasi e di fuga, quasi come dire: ma è possibile che io amo …
Dio non è esente da dubbio.
Anche Dio è nell'estasi come l'artista. È un po' paradossale. Non è che io sia Dio, però anche quando vedo un mio quadro, ho il dubbio e dico:
"Reggerà nel percorso dell'infinito?". Ho il dubbio, non concreto. Pur avvertendo che c'è un'entità di precisazione su quella opera, non sono sicuro.
Posso anche essere lettore della mia opera, ma non posso sapere come la leggeranno nel futuro fra quattromila-cinquemila anni.
Nell'avvenire.
C'è sempre il contatto dell'estasi nella creatività dell'artista. Perciò tu senti che questa opera è valida, anche non sei sicuro.
Le mode ti hanno mai interessato in questi sessant'anni?
Le mode, le facciamo noi. L'artista ha insegnato ai grandi stilisti.
La moda nell'arte.
L'arte non è una moda che noi possiamo fare per contrapporla a altri. Giotto, io lo amo, ma sono condizionato dal tempo solare in cui vivo.
E la tenebra?
Nell'artista c'è sempre luce.
E l'ombra?
L'ombra può essere una parte di assistenza.
E l'oscurità?
L'oscurità non esiste.
L'oscurità non si vede…
L'oscuro è l'uomo preistorico che perde la conoscenza per acquisirla un'altra volta, perché la conoscenza viene dalla parte di quella dimenticanza
che poi è quella parte buia dell'uomo.
Tu dici che l'arte e l'invenzione sono arte e invenzione della memoria.
Noi attingiamo dall'alta conoscenza, dalla parte buia dell'uomo preistorico.
È una parabola, una favola.
È la parabola di un viaggio.
Dalla tenebra all'ombra. La tua era una famiglia artistica?
Mio padre era un grande artista e anche mia madre, poetessa, pianiste le sorelle, poi c'era un fratello compositore che batteva sempre una composizione.
Era compositore di una sola composizione. Ma l'ha portata a compimento?
Lui non sapeva suonare, non conosceva il pianoforte però disturbando il pianoforte, piano piano…
E che mestiere faceva il compositore?
Era pittore, Alessandro.
E poi c'era un altro che era scultore.
Pier Gabriele, che ha fatto il busto di Paul Getty nel 1939. Un altro da pittore, poi diventò antiquario a Roma. Una bella famiglia. Una famiglia anche drammatica.
Tu eri tranquillo, invece.
Io ero tranquillo, ma non accettavo questo terremotino familiare.
Ma dei fratelli, lo scultore e tu siete stati i più…
Anche mio padre. Mio padre era il massimo.
Il maestro di ciascuno.
Maestro di ricerca. Immagina che nel 1920 voleva salvare il pilota che cadeva dall'aeroplano, e raccontava che lui doveva inventare un elemento che, mentre l'aeroplano casca, fa uscire il pilota dalla cabina di guida, e si salva. Raccontava così, però…
Poi nel '40 i tedeschi si buttavano giù con i paracadute.
A mio fratello, Pier Gabriele, davano invece fastidio i due binari e diceva che era molto meglio far camminare i treni su un binario unico,
come facevano
i giapponesi, in modo che non potessero uscire fuori dal binario.
Mentre con due binari si può uscire. Quindi le tragedie vengono dai due binari…
I binari sono pericolosi, ma anche i tunnel. Io non metterei mai un'auto con materiali pericolosi in un tunnel.
La vita non è un tunnel. È un giardino. Labirinto e giardino.
La vita è anche incidentata. Nel percorso della vita c'è anche l'incidente. Ma tutti gli incidenti promuovono altre situazioni.
Anche nell'arte.
Nella storia ci sono stati per esempio tanti incidenti che hanno fatto i musei. I musei sono incidenti nella vita.
L'Egitto, la Cina, hanno creato cose drammatiche che sono rimaste come opere d'arte. I musei sono pieni di tragedie.
Mentre nella tua opera non ci sono tragedie.
No, c'è l'energia che si contrappone continuamente nell'energia che dà vita alla natura, anche gli artisti percepiscono questa energia.
Se tuo papà fosse qui e potesse vedere, guardare tutta la tua opera, sarebbe contento?
Ma sono già io papà di me stesso! Solo che c'è il dubbio.
E la mamma che direbbe?
Domanderebbe agli amici cosa pensano.
Senago, Villa San Carlo Borromeo domenica 6 giugno 1999
Il libro d'arte "Antonio Vangelli. La festa della vita", a cura di Fabiola Giancotti, Spirali/Vel, è disponibile al sito dell'editore
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