Konstantin Antipov si segnala nella Scuola di Mosca, forse più di ogni altro, come artista della luce nelle sue mille sfumature, gradazioni, nei paesaggi di luna o di sole, di tramonto o di alba. Valli, pianure, rive, monti nevosi, ritratti chiarissimi, assolutamente insoliti. Pittore realista e simultaneamente scrittore della luce. La guerra lo ha segnato. La ferita. Scampato per miracolo. Vissuto per miracolo. Non ha più scordato l'aereo che portava Stalin a Yalta. Quasi una baracca alla periferia di Mosca, nella monotonia di case rarefatte e di alberi uguali. Ha sempre dipinto. Ha lasciato innumerevoli disegni ai musei, ha distribuito opere a tutti quanti, gerarchi o sguattere. Ha ottenuto, poi, tardi, un atelier angusto, dove ha ricavato, appeso a una parete, anche un letto, la baracca servendo, altrove, per l'intera famiglia. Non gli consentono di privatizzare l'atelier perché altrimenti andrebbe — dicono — agli eredi. Ha venduto tanti quadri per vivere, vorrebbe venderne ora tanti altri per comprarsi un piccolo appartamento. È allegro, gioviale, per quanto si trascini con fatica e non possa fare sforzi. E ancora il ricordo della guerra e dei travagli interiori lo commuove. Uomo del partito? Dal partito ha avuto elemosine soltanto. Agli uomini del partito che lo chiedevano non poteva rifiutare un ritratto. Ora la beffa, ora propriamente l'ironia, a volte la battuta di spirito Antipov però aggiungeva in quel ritratto. Per lui la via della luce è la via della qualità. Udite un suo quadro e non cancellerete mai quello che Konstantin Antipov vi dice.
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