Armando Verdiglione intervista Salvatore D'Addario
Siamo con il maestro Salvatore D'Addario. Oggi è l'11 di ottobre 2003, sala Milano, Villa San Carlo Borromeo. È una bellissima giornata. Lei adesso è da un paio d'anni che viene qua?
Sì, anche due e mezzo.
Tre anni, diciamo.
Sempre molto volentieri.
Ecco, l'ultima volta che è venuto c'era anche il maestro Enzo Nasso.
Sì. Era un'occasione per incontrarlo, per vederlo.
Esatto. Perché vi siete incontrati anche altre volte in precedenza.
Sì, a Roma.
A Roma... Lui non è mai venuto ad Ancona?
No, no. Si era sempre ripromesso di farlo, poi…
Ecco, però ci sono alcune opere, adesso, che sono nate, opere Sue, proprio rispetto a questa Villa…
… sì.
Sono per esempio dedicate alla Villa San Carlo Borromeo, oppure a ciascuna delle sale e quindi fanno parte della collezione che entra nel volume Suo, come libro d'arte, dove ci sono dipinti e sculture…
E anche disegni.
E anche disegni, cioè anche opere su carta. Quindi ci sono acquarelli…
… acquarelli… poi, comprende…
Tecniche miste…
… un po' tutto quello che è stata la mia produzione.
Quanti sono, trenta-trentacinque anni?
Sì, trent'anni abbondanti di lavoro.
Se Lei volesse ripercorrere questo itinerario di nuovo (noi lo abbiamo fatto, in parte, nella precedente intervista), se volesse ripercorrere, non la vicenda per intero, ma soltanto quella dedicata alle opere: come è andato avanti, qual è stato il procedimento? È andato avanti per tentativi, per ispirazione, per tecniche?
Sopra tutto per consapevolezza. Il lavoro era partito da ragazzo, sicuramente, ma non aveva in sé quelle consapevolezze che sono maturate successivamente. Questo è avvenuto grazie al contatto con alcuni amici, dei quali conservo una grandissima stima. Mi hanno aiutato a capire quale fosse la direzione dell'arte, cioè la motivazione profonda. Queste motivazioni, chiaramente, non rientravano nei compiti illustrativi, secondo me, della pittura, della scultura. Da qui mi sono mosso. Sono andato avanti. E ho lavorato, non diciamo per tentativi perché sembra che una persona voglia indovinare le cose. Bisogna, in qualche modo, scoprirle e scoprirle innanzi tutto a se stessi. Questo è, secondo me, il compito più importante che ha l'artista. Poi ci sono state molte esperienze e le amicizie con questi che io ritengo grandi personaggi, che, in parte, m'hanno anche un po' penalizzato. Erano persone di grande qualità, per cui poi il rapporto tra loro e altre persone mi ha portato a delle considerazioni molto — credo — obiettive nel considerare altre persone non alla loro stessa altezza, della loro stessa qualità. Poi i modi operativi certo entrano in gioco poiché sono la qualità propria dell'opera. Le forme, i colori, oppure i non colori… ma, ci sono tante cose che adesso… Io penso che l'artista non sia mai il miglior interprete o la persona che meglio spiega quello che sta facendo. Perché? Perché tante cose sfuggono anche a lui e non è possibile controllarle razionalmente tutte.
Però, man mano, le controlla, le cose?
Sì, certo. Non mentre nascono, ma quando sono nate. Uno ci ragiona, riflette, vede e in termini molto semplici dice anche: "Questa cosa potevo farla in questo modo piuttosto che in quest'altro" e forse questa è una ragione vitale per la quale poi nasce un'altra cosa, un'altra opera.
Quindi, la Sua arte non ha il compito né di illustrare né di rappresentare.
Ma no. Io penso e voglio fare vedere non quello che uno vede con gli occhi ma sopra tutto quello che pensa con la mente, cioè visualizzare delle cose che si pensano, non si vedono. È tutto un grande universo… misterioso, che sfugge.
Lei dice, vedere con la mente, facendo?
Sì, certo, attraverso la sensibilità. E, automaticamente, questa sensibilità, poi, nel migliore dei casi diventa e si travasa nella poesia, che è un grande valore, per me.
C'è anche questo, c'è un itinerario anche poetico?
Sicuro, alla base di ogni opera, se realmente è arte, c'è un contributo poetico notevole, altrimenti è un opera di alto artigianato. Ciò che conferisce valore all'opera è la sua densità poetica. Altrimenti anche la Divina Commedia sarebbe diventata un articolo giornalistico o il copione di un film.
A Lei sembra di potere distinguere tra temi e fasi della sua opera?
Sì, sicuramente. A questo corrisponde una maturità mentale e culturale e anche morale, sensibile, personale. È l'evoluzione dell'individuo che accompagna poi il destino di queste cose mentre le fa, le raggiunge e le persegue.
Quali sono proprio i temi principali, quelli che possono sembrarLe i temi principali e secondari? I temi del Suo itinerario, della Sua opera, se così possiamo chiamarli.
Il filo conduttore della cosa io credo potrebbe essere una specie di diario personale, non intimistico, cioè la registrazione della mia sensibilità nei confronti degli eventi, della realtà, delle cose che cambiano, che hanno il loro divenire nel tempo. Credo che l'artista sia la persona più adatta, più appropriata a scrivere un po' la storia delle cose, nel senso obiettivo.
Se lei fa mentre disegna, dipinge o fa una scultura, come interviene il dubbio?
Il dubbio non interviene mai. È sempre presente, condizione esistenziale — credo — dell'uomo contemporaneo. Il dubbio, il Grande Dubbio…
Il dubbio che trovo soddisfacente quello che sto facendo? Oppure no? Resta non resta? È eterno, non è eterno?
È il rischio, diciamo del mestiere dell'artista. Può essere tutto arte o niente. Fa parte del proprio investimento spirituale nelle cose che possono benissimo essere o un'opera d'arte o un'altra cosa. Dipende con quanta intensità l'artista partecipa a questo.
Ma quando un'opera, poniamo, è compiuta e Lei dice…
Sì, lì entrano in gioco le regole formali della composizione delle cose, ma che è la regola meno importante perché è solo formalità, formalismo…
Certo. Tuttavia, ci può essere un'opera che Lei dice: "Io ne sono soddisfatto". Le formalità, rispettate. E l'opera c'è, è compiuta…
È compiuta?… però Lei dice, può soddisfare o non soddisfare.
Sì.
Però questo...
È una questione. Rimane…
È una questione molto… Ho provato, magari, un piacere meno intenso verso un'opera, un piacere d'ordine intellettuale rispetto a un'altra, invece poi qualche altra persona stima e prova piacere per quello che io non considero un risultato così raggiunto. Io non sono un grande critico o giudice verso quello che ho fatto. Non posso essere obiettivo perché sono la persona che sta agendo. Non sono lucido.
Certo, però c'è un'opera che Lei dice: "Questa è veramente un'opera riuscita".
Sì, ma questo si può dirlo solo dopo qualche tempo.
Ma Lei, come artista, a parte quello che diranno altri, dice: "No, questa è un'opera veramente riuscita".
Sì, forse è riuscita una cosa fatta nel passato quando la ritrovo, la rivedo e la sento ancora molto vicina alle mie intenzioni.
Quindi questa riuscita Lei la nota dopo…
Sicuramente.
Dopo, non mentre la fa o quando Lei l'ha conclusa?
Chi opera è in uno stadio di grande entusiasmo per cui non colloca le cose in una dimensione molto giusta, molto obiettiva.
Quindi è dopo un certo tempo che Lei…
Sì, quando uno raffredda le proprie emozioni. L'opera se è in grado di farle rivivere, quelle emozioni, si può dire che è stata una cosa ben fatta, che ha raggiunto il suo scopo.
Ci sono tecniche che Lei ha acquisito man mano…
Sì, certo.
Ha l'impressione che se queste tecniche le avesse acquisite prima sarebbe più contento della sua produzione?
Non saprei dirlo, perché la tecnica è finalizzata ad altre cose. È solo il mezzo esteriore attraverso cui l'opera si manifesta, l'identità dell'opera. La tecnica ha un valore relativo. Bisogna che sia sempre, nel suo contesto, portata a un livello più importante, più impegnato. Però la tecnica da sola non basta. Siamo sempre al solito discorso che se l'opera non contiene quella situazione inafferrabile che è chiamata poesia, rimane sempre un prodotto di alto o basso artigianato. La tecnica nell'artigianato è eccelsa, è sapiente, è consumata con grande maestria, però oltre a questo, se non contiene intensità poetica, è invalidata. Rimane un qualsiasi manufatto fermo allo stadio e allo stato artigianale.
Lei ha l'impressione che cercando e facendo la sua vita si narra attraverso queste opere?
Sì, sicuramente. Riguardando molti quadri che saranno in questo volume io rivivo la mia biografia. Rivivo i grandi momenti di tensione che nel passato hanno determinato queste cose. E io li considero il mio diario intimo, non intimistico. Il mio diario esistenziale. Sono un po' i documenti della mia vita.
Le tavole?
Sì, certo. In questo senso io posso ritenerli come una vera scrittura, a loro modo.
A Lei accade ogni tanto di soffermarsi, di riguardare le sue opere?
Sì. Però non ho proprio il desiderio intenso di rivederle…
Può capitare.
Può capitare e questo mi procura anche del piacere se trovo queste opere ancora valide e corrispondenti alle mie intenzioni attuali.
Considerando le Sue opere come facenti parte di un lungo viaggio, in che fase del viaggio Le sembra di essere?
Be', nel punto intermedio senz'altro no. Sicuramente all'inizio, perché il viaggio è sempre lungo. Non è mai concluso.
Allora, l'essenziale del viaggio è ancora da fare? Le carte principali devono essere giocate?
Penso di sì.
E quando Lei ha concluso un'opera ci sono altri che la guardano subito?
Questo, sì, altre persone che guardano ci sono. Esprimono anche dei pareri e delle opinioni che spesso non coincidono neanche con le mie. Ma questo non mi turba più di tanto perché il problema è sopra tutto in sé, non è esteso agli altri. È anche esteso agli altri ma non è la cosa principale. Anche perché c'è una questione di linguaggi che forse non riescono a essere compresi fino in fondo, oppure non hanno nessuna necessità di essere compresi. Il rischio è questo. Però l'importante è la prova. L'importante è fare. E poi questa è un'attività molto, se uno vuole chiamarla così, scomoda e impegnativa e non richiesta da nessuno e quindi una delle grandi prerogative di questo lavoro è sopra tutto la libertà e l'onestà intellettuale. Se non ci fossero queste, sarebbero delle sottodimensioni del pensiero.
Enzo Nasso aveva visto le Sue opere?
Sì, ha scritto anche delle cose. Rientra nel numero dei miei ammiratori. Secondo lui queste cose possedevano una certa carica poetica.
Noi tendiamo ad affidare a uno scrittore la lettura della Sua opera, anche cominciando da uno scrittore che, nella nostra collana che si chiama L'Arca, possa fare questo accostamento, che può essere per contrasto, per differenza, per affinità, con Tiepolo.
Con Tiepolo…?
Ne avevamo parlato, no?…
Sì, poi aveva detto di Kušner…
Sì, esatto. A Lei come sembra Tiepolo?
Un genio molto estroverso che ha viaggiato sempre in molte direzioni, molto curioso. Quindi può esserci… senz'altro può essere una cosa ben fatta.
Sì. Lei, l'affresco vero e proprio sul muro, l'ha mai praticato?
No, ma… conosco…
Conosce la tecnica?
Sì. Ma mai praticato. La ritengo una tecnica inattuale oggi. Anche se meravigliosa.
Però ha avuto importanza…
Certo. Il valore della tecnica è anche questo: fare in modo che l'opera poi viaggi nel tempo. Se c'è una tecnica fragile…
Però Giotto non l'aveva, questa tecnica, eppure…
È rimasto…
… le sue opere rimangono, no?…
Sì, sì, certo, ma io voglio dire l'integrità di un'opera.
Ma l'opera sul muro, affresco o no, la incuriosisce?
Sì, certo. È una tecnica anche piuttosto semplice…
Quella dell'affresco?
Sì.
Però ci può essere…
Parliamo di tecnica, non di pittura. Di arte.
Certo, certo…
È un lavoro manuale sopra tutto, no? Anche faticoso. Lavoro che procede giorno per giorno. Ogni spazio dipinto è chiamato la giornata o la puntata. Dipende se procede per livelli orizzontali o per zone…
Certo…
Però diciamo che non coincide più, l'affresco, con i requisiti dell'età contemporanea. L'opera ha l'obbligo anche di farsi vedere, di viaggiare.
Sì, certo…
Non tutti vanno a Ravenna a vedere i mosaici ma un'opera che può essere facilmente trasportata produce dei vantaggi diversi, anche se non dovrebbe essere così. È il pubblico che dovrebbe avere interesse per l'arte e muoversi, di conseguenza. Invece in questo caso è l'opera che si muove e raggiunge il pubblico. Il limite dell'affresco è questa sua immobilità fisica.
Sì.
Però grazie a questa tecnica abbiamo letto il grande passato.
La ceramica, Lei, la considera come un modo…
Di arte?
Sì.
Senz'altro. Se Lei pensa al Leoncillo…
E Lei stesso?…
No, non l'ho mai fatto. Non la ritengo consona alle mie…
… alle sue esigenze artistiche.
Sì.
Noi siamo adesso nella Sala Milano…
Una meravigliosa Sala Milano…
… Sì, tra l'altro, sicuramente, nel soffitto ci saranno stati degli affreschi, coperti poi dal restauro di Bagatti Valsecchi.
Forse esploreremo un giorno. E poi alle pareti troviamo queste opere, come del resto in tutto il museo al primo piano,
di Ferdinando Ambrosino.
Sì.
Come Le sembrano queste opere?
Be', compiute nella loro… hanno un rimando storico che ci proietta indietro e non troppo avanti, non proprio avanti.
Sì…
È un riferimento…
Memoria storica, memoria... però…
La tradizione.
Sì, però qui non viene rappresentata.
Certo, ma viene suggerita. L'importanza di quest'opera è quello che suggerisce non quello che rappresenta. E poi sembra una pittura anche di qualità.
Certo. Lei ha trovato, lì ad Ancona, nel suo atelier, un dispositivo di produzione?
Sì.
Non ha mai fatto opere altrove?
Sì, in varie circostanze, sì. Fuori, quando mi trovavo lontano da casa. Ma pochi episodi. Era l'urgenza di scrivere qualcosa.
Erano opere su carta?
Su carta e anche su tela. Parlo di quei quadri bianchi con delle corde, dove… ecco, era anche facile realizzarle sul piano tecnico. Occorrevano poche cose e la disponibilità era dappertutto, dovunque.
Qual è la mostra più recente che ha visitato? O le mostre più recenti che ha visitato?
La mostra più recente, parliamo di agosto, è questa di Ambrosino, qui a Villa San Carlo.
Esatto. Ad Ancona vengono mostre, sì?
Sì, sì certo, vengono mostre…
C'è un museo, no?
Sì. Poi ho visitato una raccolta di artisti marchigiani, che hanno fatto lì ad Ancona…
Una collettiva?
Sì, una collettiva.
Erano giovani?
Diciamo tutte le generazioni.
Come l'ha trovata?
Ci sono delle presenze di riguardo, tipo Fazzini, Mannucci, Licini… poi ci sono altre persone…
Storie?
Anche storie, perché le Marche hanno dato molto all'arte. In genere, tutto il centro Italia.
Poi c'erano anche dei giovani?
Sì, dei giovani. Dei giovani che stanno ricercando…
… sì, la loro strada.
Che spero trovino.
Ma non ha avuto l'impressione che la stessero trovando?
No. No, perché c'è un atteggiamento molto superficiale. Questo è diventato, secondo me, un mestiere per i giovani dove si possono guadagnare dei soldi ma non più con tanta facilità come prima. Ridotta così la dimensione dell'arte non mi interessa, non esiste.
Ma è più difficile oggi guadagnare dei soldi con l'arte, o è più facile?
Dipende dalle situazioni.
… sì, dalle circostanze…
E poi, non è il fine.
Mimmo Rotella mi diceva l'altro giorno che lui non è andato a Venezia al Festival perché è andato l'anno scorso, non era rimasto contento e non c'erano novità…
È vero. Ma ormai è da parecchi anni che non esistono spinte innovative… da parecchi anni.
Sono tutti prodotti del computer.
Sì, sì…
Come la fotografia…
È la moda degli anni Settanta che viene riproposta. L'arte concettuale che ritorna con l'aiuto magari…
… poi diventata postmoderna, poi new age, e adesso… ombelicale…
Adesso è tutto e niente. Un miscuglio di cose. O esistono delle personalità che noi non conosciamo perché sono ignorate dall'apparato critico che non è mai stato obiettivo nei confronti dell'esame delle cose, oppure non ne esistono. Ma una volta i giovani, e questo io lo so anche grazie al ricordo e alle parole del mio maestro…
Maestro quale?
Mannucci. I giovani avevano una grande voglia di voler fare le cose, mentre oggi questa voglia è sparita perché, secondo lui, pensano solo ai valori materiali. Rincorrono questi valori e perdono di vista gli scopi del loro lavoro, della loro attività, delle loro cose. E poi c'era una grande solidarietà tra artisti che oggi è comparsa. Ognuno vive per proprio conto senza confrontarsi con gli altri, senza discutere. Invece a quei tempi, parliamo anche di subito dopo la guerra, c'erano dei dibattiti molto accesi. Gli artisti litigavano ma erano grandi amici e si aiutavano.
Quindi adesso il dibattito non c'è più?
No, è scomparso. Esiste quello formale solo per fare in modo che vengano stampate queste riviste alla moda.
Ma non c'è una vera e propria moda?
Mah… le riviste alla moda. La moda dell'arte.
Quali sono queste riviste alla moda?
Posso dirle?
Sì.
Sono tutte quelle che uno trova in edicola, da "Flash Art", fino… che sono quanto di più negativo il panorama intellettuale o pseudo intellettuale… sono di cattivo esempio alle personalità fragili. Io noto molti giovani che cambiano la loro ricerca artistica, il loro indirizzo formale aggiornandosi su queste… porcherie che propongono.
Secondo Lei una rivista di arte avrebbe questo compito, anche, di avviare il dibattito?
Sicuro! Sicuro, ma non solo di arte perché poi sarebbe troppo restrittivo.
Anche di scrittura…
Certo. L'artista io penso che sia un intellettuale, quindi non può basarsi solo sull'uso dei colori o dei pennelli. L'artista deve guidare questo… con la propria intellettualità.
Trovare la direzione?
E certo.
Molto bene.
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