Armando Verdiglione intervista Enzo Nasso (estratto)
Enzo Nasso, dove sei nato, esattamente?
In un paese che si chiama Taurianova, in provincia di Reggio Calabria. Quando io sono nato, si chiamava Radicena.
Taurianova è un nome più antico?
Sì, sembra che l'origine di Taurianova sia dell'epoca della Magna Grecia, quando gruppi di greci democratici, contrari a Sparta, furono cacciati dall'isola di Nasso.
Andarono in Sicilia dove crearono la città di Náxos (734 ca, a.C.), che ancora esiste. Esistono ancora le "figlie di Nasso"…
Lì portarono tutti i loro simboli: il toro, le monete…
Gli abitanti dell'isola di Nasso erano tutti battitori di monete. Ma anche in Sicilia entrarono in conflitto con il tiranno di Siracusa, e furono costretti a scappare di nuovo. Andarono in Calabria, che allora era una specie di deserto. Qui fondarono Taurianova.
Una "specie di deserto"?
In quell'epoca, quella zona non era abitata, meno Reggio Calabria.
Meno Reggio, meno Locri, meno Caulonia, meno Crotone, che erano abitate.
In quella parte della pianura di Gioia Tauro, costruirono Taurianova e portarono i loro simboli, in particolare il toro.
Gli abitanti venivano chiamati i Nasso, perché provenivano da quell'isola. Io sono nato in quella terra.
La mia casa è proprio al centro di Taurianova.
Dopo alcuni anni, nell'immediato dopoguerra, Radicena, come si chiamava allora, riprese il nome greco di Taurianova.
Sei nato in quale anno?
Nel 1923, aprile 1923.
Quanto sei rimasto lì?
Sono andato via a otto anni-nove anni. Però, fino al liceo, andavo e venivo. Un po' stavo a Potenza, un po' a Roma. Ritornavo al paese durante l'estate. Verso i quattordici-quindici anni, venni definitivamente a Roma.
Quindi, verso il '38.
Suppergiù, '37-'38.
E a Roma dove stavi?
A Roma abitavo in una camera ammobiliata.
Tuo padre era in America o era in Calabria?
Mio padre, il 1937-'38 tornò dall'America.
Però, ogni tanto veniva quando tu eri bambino…
Sì, veniva, faceva figli e poi andava via. Finché, a un certo punto, tornò con un po' di soldi. Incominciò un commercio di alcool per la lavorazione delle arance, e dopo aprì un negozio. Aveva fatto la guerra…
Dove?
In America, con gli americani.
Era cittadino americano?
Sì. Enzo, che studi hai fatto a Taurianova?
Ho fatto il ginnasio e poi il liceo a Roma. A Potenza avevo fatto le magistrali. Avevo incominciato con il ginnasio, ma poi ero passato alle magistrali perché ero un po' "discolo". C'era un preside del mio paese, terribile, che mi aveva consigliato di fare così, sia per la mia condotta sia per il mio rifiuto della matematica e della geometria. Feci le magistrali e presi la licenza liceale a Roma. In seguito mi iscrissi a lettere, ma non continuai…
Al liceo, poi c'era la matematica!
Sì, c'era. Però, a quell'epoca, siccome ero molto bravo nelle materie letterarie, il rifiuto della matematica mi veniva, in qualche modo, perdonato.
E come mai avevi questo rifiuto della matematica?
Era un rifiuto naturale, forse incapacità di concentrazione, incapacità di capire i meccanismi.
Ma non è che ti sei convinto di questo e invece non era così?
Per il lavoro che mi preparavo a fare, e che volevo fare, non aveva alcuna importanza.
Cioè, tu stesso non davi importanza. C'è stato un episodio con tuo padre per te significativo? Se tu dovessi ricordare un solo episodio con tuo padre…
All'inizio dell'adolescenza la conflittualità, tu lo sai, è automatica…
No, non è automatica.
Prima cosa, c'è la differenza di cultura. Uno dei primi episodi di grosso conflitto fu il fatto che, lì vicino a casa mia, si allevavano i conigli. Mi ero affezionato a un coniglietto, lo portavo a dormire con me di nascosto. Un giorno, l'hanno ammazzato per mangiarlo. Io, avrò avuto sei-sette anni, presi un coltello, aspettai mio padre sulle scale e gli saltai addosso con l'idea di accoltellarlo. Naturalmente, siccome era un uomo robustissimo, mi ha sbattuto via. Un altro episodio significativo, che ancora ha conseguenze, è stato questo: a un certo punto, non ricordo a che epoca, avevo sei o sette anni, su pressione di mia madre, lui mi comprò la bicicletta.
Tutti i ragazzi, a quell'epoca, l'avevano. Con questa bicicletta, cominciai a scorrazzare come un matto per tutti i paesi intorno.
Finché caddi e mi feci male a un ginocchio. Rimasi con una gamba piegata. Mio padre non credette a questa faccenda.
Mi disse: "Guarda, se tu riesci a allungare la gamba, io ti compro due paste di Crucitti". Crucitti era un pasticciere famoso in tutta la zona. Feci uno sforzo enorme per allungare la gamba. Quando ci riuscii, questi mi prese e mi diede un sacco di botte, perché pensava gli avessi raccontato una bugia. E la bicicletta, la fece a pezzetti. Molti anni dopo, dieci-quindici anni fa, quando lui morì, io andai in Calabria con mia moglie e, arrivato a casa, questa gamba mi s'irrigidì.
Abbiamo chiamato il medico, che però non seppe fare una diagnosi. Mi portarono a Gioia Tauro, a dieci chilometri dal paese, e la gamba si sbloccò.
Questa cosa mi successe anche un'altra volta. Andai da uno psichiatra, gli raccontai della gamba e lui collegò con l'episodio di mio padre.
Mi diede un sacco di medicine, di tranquillanti…
Perché sei andato dallo psichiatra?
Andai dallo psichiatra per capire…
È una cosa stupida. Ancora più stupida prendere…
Sì, stupida. Ma ero in un momento di grande tensione per la morte di mio padre… Però, buttai via tutte queste medicine. Avevo un attico, mi chiusi lì per un po' di tempo e superai da solo… In quel caso, scrissi. Non scrivevo da tanto tempo, e scrissi i versi di Dissidio, sul paese, sulla rivolta di Reggio Calabria.
Quando tu eri ancora a Taurianova, leggevi libri?
Da ragazzino c'è stato un fenomeno curioso. Credo di aver avuto quattro o cinque anni e non riuscivo a leggere bene. Mio padre voleva che studiassi le cose delle elementari, io invece cercavo la lettura di altri libri, e per fare questo mi chiudevo in un armadio. Un giorno, all'improvviso, uscito dall'armadio, come un miracolo, cominciai a leggere, e lessi addirittura i racconti di Renato Fucini.
A quattordici anni, cosa leggevi?
A quattordici anni leggevo gli autori russi.
I grandi romanzi, li leggevi?
I romanzi russi.
Filosofia?
Filosofia meno…
Poesie?
Poesie, quelle di cui si avevano a disposizione i libri: Pascoli, Carducci. A sedici-diciassette anni, venendo a Roma, passai a Rimbaud, a Verlaine; dei simbolisti cominciai una lettura assidua, quasi di studio.
Cioè tutta la poesia francese. Poesia angloamericana, no?
No, poca. La poesia angloamericana moderna, come la intendiamo noi, a quell'epoca non c'era… Leggevo, durante il fascismo, Ezra Pound, quello che era stato tradotto di lui. Pound era stato in Italia, a Roma…
A Roma, poi a Potenza… Ma perché a Potenza?
In condotta ero considerato un pessimo scolaro. C'era un preside che si chiamava Greco, amico di mio padre, il quale da Reggio Calabria era stato trasferito a Potenza. Costui aveva detto a mio padre, con quel senso di solidarietà che c'è tra amici: "Mandamelo a Potenza, ché cerco di fargli avere la licenza".
Il problema non era tanto lo studio in se stesso, quanto il fatto di avere un diploma per trovare un lavoro.
E, invece, come mai sei arrivato a Roma?
Sono scappato, a un certo punto, da Potenza… Arrivai a Roma, perché c'erano due mie zie.
Tu avevi due zie sposate a Roma?
Sì.
Quanti fratelli hai?
Un fratello e una sorella, che sono morti, e ho tre sorelle tuttora…
Eravate sei?
Sì.
E tu che posto avevi?
Sono il primogenito. Il primogenito, educato con modi selvaggi, severi…
Tuo papà era un po' selvaggio e un po' severo…
Era di una severità spaventosa, costruita su principi morali elementari.
E pure la mamma era severa?
Mia madre, poverina, in quel momento era vittima di mio padre. Solo io reagivo…
Ma tu non sei stato vittima di tuo padre.
Non mi sono mai sentito, nemmeno allora, vittima. Sentivo tutto questo come un fatto conflittuale. Sapevo che me ne sarei andato.
E cercavo di sfuggire alla violenza fisica di quest'uomo.
Com'è andato il liceo a Roma?
È andato bene.
E le letture al liceo, le letture scolastiche quali erano? Sempre i russi e la poesia francese?
I russi, la poesia francese, anche testi italiani.
I francesi, li leggevi in francese?
Sì, in parte. Tentai addirittura di scrivere un libro su Rimbaud e Verlaine.
Le prime poesie, quando le hai scritte?
A otto-nove anni…
Avevi un diario?
Sì. Più che un diario, avevo dei quaderni…
Quaderni di poesie?
Sì. Orribili, che mia madre ha conservato e che mi ha ridato qualche anno fa. Erano poesie imitative, di Pascoli, della Divina Commedia il tentativo di fare versi imitando la Divina Commedia risale all'epoca in cui avevo otto-dieci anni.
E le prime poesie invece che tu riconosci veramente come poesie quando le hai scritte?
Verso il 1939.
Quindi a 16 anni?
Sì. Poi, vinsi un concorso di poesia. Era un concorso di cui erano giudici Cecchi, Baldini e D'Amico.
Quindi, erano Emilio Cecchi, Antonio Baldini e Silvio D'Amico.
Mi diedero un premio di cinquecento lire. A quell'epoca era una cosa enorme. Così, incominciai a avere rapporti con tutti i giovani intellettuali di quell'epoca raggruppati nella redazione del giornale del GUF che si chiamava "Roma fascista".
E dopo il liceo?
Mi misi a lavorare subito.
Che lavoro?
Il primo lavoro che ho fatto era quello di contare in un ministero, non ricordo in quale ufficio, i bollini delle tessere annonarie, durante la guerra.
Poi, dopo che vinsi questo concorso di poesia (seconda era arrivata Milena Milani, terzo Sinisgalli), conobbi Leopoldo Trieste e m'iscrissi ci s'iscriveva gratuitamente all'Accademia drammatica, a un corso di composizione diretto da Cesare Vico Ludovici, che era un commediografo molto importante.
Anton Giulio Bragaglia, l'hai conosciuto?
Sì, dopo. Era molto amico di mio suocero, prima che morisse…
Tuo suocero, chi?
Cipriano Efisio Oppo.
Era amico di Anton Giulio?
Sì, era amico intimo. Durante la guerra, Oppo gli aveva fatto le scenografie per le prime rappresentazioni del Teatro degli Indipendenti. Oppo era un personaggio importantissimo, è stato accademico d'Italia, deputato per anni, durante il fascismo…
E quindi tu hai incominciato a lavorare…
Incominciai a lavorare così. Poi, mi affidarono di fare una rivista scolastica che si chiamava "Orsa Minore", fatta dagli alunni. Intanto, avevo ripreso i contatti con l'ambiente dei giovani intellettuali romani. Mandai via tutti i collaboratori, e feci questa rivista chiamando a collaborare Manlio Cancogni, Carlo Cassola, Sandro Penna, Ennio De Concini, i due fratelli Giorgio e Massimo Petrocchi, tutti giovani emergenti…
Fra l'altro, pubblicai i disegni di Antonio Vangelli e di Renato Guttuso.
Con Guttuso avevo fatto grande amicizia. Lui era molto interessato alle mie poesie, ma sopra tutto alle ragazze che allora mi circondavano.[…]
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