di Armando Verdiglione (estratto)
Quella di Saverio Ungheri è un'impossibile terza avanguardia. L'avanguardia che può sorgere dalla lettura della sua esperienza.
L'avanguardia che non può né essere né presentarsi, e nemmeno enunciarsi, come avanguardia. Atto inaugurale. Atto assoluto. Arbitrario e di qualità.
Saverio Ungheri interroga la modernità. E la trae verso l'incredibile. Modernità non più semiologica. Interroga le avanguardie. E le legge. Saverio Ungheri interroga la pittura, la scultura, l'architettura, le altre arti, le invenzioni. E non le rappresenta. Le legge. Non è solo arte. Non è solo invenzione.
E' poesia dell'arte e dell'invenzione. E' la scrittura di questa poesia.
Saverio Ungheri interroga la macchina e la tecnica. Le esplora. Le attraversa. Non le media. Non le inscrive nel comune del sapere, del senso, della verità.
Né mnemomacchina né mnemotecnica. Né psicomeccanicismo né psicotecnicismo. Nessuna tecnologia, con cui il discorso della morte si aggiorna e costituisce l'epoca, in tutte le sue coperture sociali, economiche, politiche, morali.
Saverio Ungheri interroga la civiltà e non la rappresenta. Niente approcci zoologici. Niente animalità fantastiche. E nessun valore tiene dinanzi al valore assoluto, alla qualità intellettuale, verso cui la macchina e la tecnica, scrivendosi, si rivolgono.
Che cosa resta della civiltà, senza più cancellarla, senza più distruggerla, senza più il dovere del ricordo grave e greve? Che cosa resta delle avanguardie,
senza più le ideologie che sorreggevano la propaganda e l'organizzazione dei gruppi? Che cosa resta della modernità, senza più cappelle né cappi militari?
Che cosa resta della città di Roma, nei sessanta anni in cui Saverio Ungheri la percorre in lungo e in largo, nelle sue peregrinazioni, nelle sue meditazioni,
nelle sue narrazioni attraverso le galassie? Quale pausazione e quale modulazione giovano alla scrittura della ricerca? Quale tempo qualifica il ritmo?
Ciò che della storia si scrive restituisce tanto il simbolico quanto il letterale dell'esperienza. Leggendolo. E ciò che, facendo, si scrive restituisce il capitale,
la cosa intellettuale. Per questa rivoluzione verso la cosa intellettuale importano la combiatoria e il cervello della combinatoria, anche in quello che sembra enunciarsi come un organo, un cuore, un polmone, un occhio, un orecchio.
Non c'è cosa che interessi Saverio Ungheri perché estetica o poetica o letteraria o religiosa o storica o culturale. Dove altri insegue il mistero,
Saverio Ungheri introduce l'inscrizione originaria delle cose. Nella loro narrazione. Nella loro ragione narrativa. Nella ragione dell'Altro.
Nella loro qualificazione.
L'antica e solenne sofistica di Saverio Ungheri riporta la filosofia senza il discorso filosofico, la retorica senza il discorso letterario, la lirica senza il sentimentalismo, la poesia senza il discorso poetico, verso la complessità, oltre il groviglio linguistico e, per questa via, che è la via dell'infinito, verso la semplicità. La profezia ispira l'itinerario di Saverio Ungheri come sua condizione. Fino alla sua cifra.
Nessun ricalco del divino o dell'umano. Saverio Ungheri non contrappone la solarità a quelle che la volgarizzazione mitologica junghiana, la metafisica degli idioti, chiama le religioni del Mediterraneo. Egli non ha bisogno di rappresentare il due e il tre, l'oggetto, Dio, l'Altro. Non ha bisogno di spazializzare la parola,
la famiglia, la memoria, l'urbe.
Il nord e il sud sono il corpo e la scena della parola, il due che non si maternizza, l'armonia e l'inarmonia, il pari e l'impari, in breve, l'apertura originaria, da cui procedono le cose. Relazione inconoscibile. Senza origine. L'inferno e il superno. Quindi, la caverna non dimora nell'inferno. E l'inferno non è materno.
La caverna non è materna.
Ecco la collina di Saverio Ungheri. Potete salire e scendere lungo la sua strada. La strada procede dall'alto basso, della relazione. Ma voi non andate né verso l'alto né verso il basso. Scendere e salire. Andare e venire. Come il vento. Come l'onda. Entrate nella caverna, nella grotta, nella spelonca, nell'antro. Il simbolo,
la lettera e la cifra non appartengono più alla Sibilla e nemmeno alla Pizia.
Sta qui, invece, la casa antica, la casa di Saverio Ungheri, la casa dell'avvenire. Voi rimanete forse sconcertati, forse sgomenti o addirittura perplessi,
poi meditabondi, poi forse incomincate a capire e a intendere. Una stanza ancora, da un altro lato. E poi altre. E altre ancora. Scendete, atraversate, salite.
Piccole o grandi queste stanze? Buie o luminose? Stanze che vivono delle opere di Saverio Ungheri.
Non avete modo d'inebriarvi. Ciascuna opera vi questiona, vi provoca, vi lascia pensare, meditare, riflettere. Nell'adiacenza di ciascuna opera insorgono lembi
e punte della civiltà. Ciò che voi avete lasciato, prima di entrare, si narra e si scrive qui. Trova qui il suo senso, il suo sapere, la sua verità, il suo valore.
La vera navigazione incomincia qui e qui debutta. La memoria trova, qui, la sua via, non più circolare, non più lineare, non più autodistruttiva.
La beffa di Saverio Ungheri verso il buco nero e verso il continente nero è assoluta. Si fa ironia, sovrana, ovvero originaria. Oltre la drammaturgia.
Oltre la liturgia. Oltre la polemologia. La pulsione delle cose verso la qualità esclude l'animazione. E la beffa si estende anche ai due secoli d'illuminismo, nella sua alternativa fra il tutto chiaro e il tutto scuro. Beffa verso la logotermodinamica, in tutte le sue applicazioni politiche, sociologiche, antropologiche,
in tutte le sue rivoluzioni circolari, in tutti i suoi cambiamenti, superamenti, capovolgimenti, rotture, conflitti, polemiche, in tutta la sua litigiosità frastornante
e stragista. E ancora: beffa verso la logotelematica. Anche questa seconda rivoluzione industriale viene presentata, rappresentata e propagata sotto il mantello del discorso occidentale, che, invece, la nega.
Il corpo e la scena, nell'itinerario di Saverio Ungheri, non si compongono, sul modello gnostico, quali macchina e tecnica della termodinamica e della telematica. L'arte e l'invenzione, nella scrittura di Saverio Ungheri, sono tributarie della scienza e della parola. Senza più scientismo. Senza più discorso scientifico inscritto sul solco del discorso occidentale.
E la vita, che risalta nella caverna e dalla caverna di Saverio Ungheri, è originaria. Come la parola. Con un'irrisione verso ogni vitalismo, con cui si alimenta
la tanatofagia. L'ombelico di Delfi è qui l'oggetto della parola, condizione stessa della caverna. Neppure l'ombelico è materno. Neppure l'ombelico può rappresentare, descrivere l'originario. Sicché Saverio Ungheri, maestro mediterraneo e europeo, può affidare la bella lezione di Leonardo al terzo millennio.
L'Eden di Saverio Ungheri è aritmetico, non sovrastato dall'erotismo, non ricoperto da demonologia, non rivestito da quell'arcaismo che insegue sempre l'idea dell'origine. Il racconto, l'aneddoto, la poesia, come il mito e la leggenda, appartengono a una narrazione qualificante, senza più la negativa del tempo, senza più l'idea della fine del tempo, senza più associare il tempo all'economia del male, del peccato, dell'incesto. L'Eden di Saverio Ungheri è un vero e proprio paradiso artificiale, ovvero intellettuale, senza più naturalismo, senza più drogologia, senza più sostanzializzazione.
L'infinito abita nella caverna di Saverio Ungheri. L'infinito non è reale ma attuale. Ciò che si cerca e che accade e che si scrive lungo la narrazione di Saverio Ungheri non è mai reale né naturale. Il reale stesso è irreale. Il contingente, con i suoi miracoli, è irreale. La vita non è reale né naturale. Nessuna metafora spirituale che sorregga una fantabiologia e una fantazoologia. Ma l'automazione come intellettuazione delle cose, come odissea intellettuale verso la qualità assoluta.
Considerate l'astralismo. Che cosa vi indica, anzitutto, se non che la parola non si spazializza e la vita non ha da negarsi inseguendo l'utopia, quindi la spazialità pura? L'astralismo: ovvero il cielo e il paradiso senza più il paganesimo di due secoli di rivoluzioni illuministiche genocide. L'astralismo: ovverro l'energia è l'atto
di parola, atto di navigazione. Ancora, l'astralismo: non basta la filologia, occorre la linguistica, la linguistica di Saverio Ungheri, perché le cose si scrivano.
E con Saverio Ungheri, le cose, prima di scriversi, si narrano. E si narrano per astrazione.
La finestra della vita offre le cose nel loro incominciamento. E la porta della vita offre le cose nel loro debutto. Il bello della finestra è nell'incominciamento delle cose e nella contraddizione con cui l'equivoco è insuperabile e dà perciò la vera struttura del commercio. Il bello della porta risiede nell'atto stesso con cui essa si spalanca alla differenza e alla varietà. Senza cambiamento e senza passaggio. Il bello della differenza non è reale né naturale. E attravero la differenza e la varietà le cose che accadono, facendosi, con la lingua altra, si scrivono. Dove sta ormai l'indifferenza verso il bello che ha introdotto nel paradiso delle avanguardie il male, il peccato, l'incesto, rendendo il paradiso reale e naturale?
La Calabria. Roma, le galassie. E l'astralismo: ovvero non c'è più localismo, non c'è più soggetto alla morte. L'astralismo: ovvero le sorti e il destino della Calabria. Le sorti e il destino della parola. La navigazione intellettuale. Senza pesi. Senza gravità. Il nonno pittore. Il mito. La "soffitta piena di tele e di disegni".
Anche negli armadi, documenti, bozzetti, schizzi. Al nonno "piaceva molto il teatro". E gli ulivi? "Gli ulivi sono gli alberi della mia vita".
E ancora: "L'ulivo è un albero vivo".
La gente va e viene. L'oggetto della parola non è fisso né immobile. La migrazione definisce il gerundio della vita. "Sono rimasto fino a dicotto anni. Non vedevo l'ora di scappare dal paese". E' curioso: Saverio Ungheri non incontra, nella sua vita intellettuale, il maestro; eppure, "Non si deve rinnegare la paternità in arte". Già, la paternità. E poi: "Mi è morto tra le braccia, mio padre". Le sue opere stanno lì per ravvivarlo? La paternità è l'istanza stessa della nominazione cn cui le cose si numerano, si aritmetizzano, narrandosi, si valorizzano, scrivendosi, leggendosi.
"Se l'artista è in grado di disegnare, non ha bisogno di altri mezzi della mano? Quali sono i suoi strumenti? Mezzi intellettuali, strumenti intellettuali.
E dispositivi perché questi mezzi e questi strumenti traggano la navigazione alla cifra.
"Quando acquisisci le regole, poi assumi e conquisti le cose, allora le rimandi con la tua opera: e ciò diventa semplice, senza che tu te ne accorga". L'ellissi, l'iperbole, la parabola giungono al simbolo, alla lettera, alla cifra. "Dipingere è fare il lavoro degli angeli, cioè un lavoro che ti dà gioia". Gli angeli. La gioia.
L'opera vale il messaggio. E la vita vale la missione. E' impossibile capire e intendere qualcosa del testo di Saverio Ungheri senza la Calabria.
Non ha torto Franco Solmi: "Al Palazzo dei Diamanti porta anche le ragnatele che stanno qua dentro". Chi è il ragno? La rete, la tela e il tessuto non hanno nessuna necessità di negare la stoffa, la materia, il materiale. […] |