ARMANDO VERDIGLIONE

ARMANDO VERDIGLIONE

Ciò che resta dell'avvenire Cinquemila anni di scrittura
(estratto)

Roberto Panichi ci convoca in un viaggio quanto mai intellettuale. In Etruria. Nella regione, non nella provincia. Nel pianeta, non nel continente. Nelle galassie. E non solo. L'Etruria sono le dimensioni stesse della parola originaria. Una logica. Libri, impersonaggi, storie, racconti, scritture: il viaggio procede dal futuro e si rivolge all'avvenire nella scrittura e alla cifratura delle cose. Senza più universo. Senza più cerchio. E nessuna mitologia tiene. Nessuna ideologia. Nessun apparato fantasmatico delle tribù. Trasumanare: altra è l'humanitas di Roberto Panichi, il terreno stesso dell'Altro. Si traduce, si trasmette e si traspone ciò che non è mai stato. La destrutturazione offre la teorematica del viaggio. Non c'è più facoltà. Non c'è più soggetto. Non c'è più il genere umano coniugato con il discorso della morte. La destrutturazione introduce anche la strutturazione altra, quella materiale, e non più sostanziale né formale, e tantomeno mentale. Altre strutture. E scritture altre. Niente più politeismo. Niente teismo. Niente ateismo, colmo dell'antropomorfismo. Geroglifici: scritture che mai si risolvono nello scritto, strati di civiltà a venire.

I palinsesti di Roberto Panichi non scoprono civiltà sepolte e dimenticate, ma offrono la stratificazione intellettuale di quanto avverrà, procedendo dal futuro, ovvero dal modo dell'apertura originaria. Senza più zoologia. Senza più prospettare, nel viaggio, l'alternativa tra il bene e il male. Senza più dovere compiere l'economia del negativo. Noi abbiamo, di Roberto Panichi, il testo, il libro, il film. Lungo il viaggio del sacro. Lungo il viaggio della parola originaria. Roberto Panichi restituisce il testo con la lettura e ci indica, con il libro, ciò che della memoria si scrive. E che il viaggio concluda alla cifra ne contraddistingue la saga. Roberto Panichi, nell'attualità dell'avvenire, incontra, lungo il viaggio, Lucrezio e Dante, Prudenzio e Boccaccio, i lirici greci e Ludovico Ariosto, sant'Ambrogio e Cervantes, la grafica etrusca e quella egizia, il film di Pompei e il film indiano, Leonardo da Vinci e Giovanni Fattori, Masaccio e De Chirico. La simultaneità è la condizione sia del suo labirinto sia del suo paradiso. La condizione non solo del ritratto della vita ma anche della sua cifratura. Il futurismo di Roberto Panichi è questo: le cose procedono dall'apertura originaria. E la realtà non è più fisica né metafisica. Essa dimora nella scrittura. Niente eclettismo.
Ma specificità. E, ciascuna volta, unicità.

Il fantastico di Roberto Panichi è ciò che consente alle cose di scriversi, l'operazione della scrittura. La mano di Roberto Panichi è questa: la struttura si scrive. Lungo il viaggio, che procede secondo l'idioma. E la lettura non ha il senso, il sapere, la verità come cause. Appunta, invece, la scrittura e il suo compimento. La bellissima classicità di Roberto Panichi sta nella qualificazione delle cose. Non precede la modernità, ma segue a essa. Modernità altra. Modernità che non ha bisogno della gnosi delle avanguardie, del postmoderno, della New Age, della rivelazione ombelicale. Il paradiso di Roberto Panichi viene dalla chiarità propria all'intervallo, che mai si spazializza, mai si localizza, mai si allinea. E al paradiso segue la luce. Con la sua comunicazione pentecostale. Senza contatto. Con la sua telecomunicazione. Mediante la partitura pragmatica, il partito della vita produce, con la luce, l'intendimento. Perché, infatti, l'interesse di Roberto Panichi per la musica? Perché la musica è arte della luce. Arte dell'ascolto. Arte aritmetica. Una delle arti del paradiso di Roberto Panichi. Senza più segreto. Senza più intimità. E ancora. Senza mammismo e senza tanatofagia. E ciò che giunge a compimento non è soltanto la convocazione delle arti e delle invenzioni verso la scrittura ma il viaggio di cinquemila anni. Il viaggio dell'avvenire. La memoria procede dalla traccia, dal modo della relazione. Si scrive e si cifra. Nessuna rappresentazione. Né di cose. Né di parole. La saga non lo consente. Nessuno sperimentalismo. Nessun figurativismo.

Le donne, non più merci, non più supporti della genealogia dell'avvenire, non più garanti della linea del cerchio come le Parche, non più padrone del tempo, sono tratte verso l'enigmatica della differenza assoluta, verso la civiltà non più tanatologica. Niente eterno femminino che alimenta il monopolio — sacrale — della pornografia. Nessuna negativa del tempo e dell'Altro. Nessun matricidio.
La coralità nell'opera di Roberto Panichi contrassegna l'infinito nell'intervallo. L'infinito delle cose che si fanno secondo l'occorrenza. L'infinito della vita che diviene qualità.
La profezia è provocazione, causa, condizione del viaggio. Per ciò nessuna reitazione fra un'opera e l'altra. Nessuna clonazione. Sempre realtà nuove. Sempre scritture altre. Nessuna significazione.
Alberto Bragaglia è stato chiamato pictor philosophus. Roberto Panichi è philosophus pictor? Roberto Panichi è scienziato. Artista. Linguista. Scrittore. La scienza è la scienza della parola. Sicché ogni epistemologia si sfata.
La Versilia. Firenze. Cuneo. Parma. "Tutta la mia vita è basata sulla contraddittorietà". Questo principio di contraddizione è il principio del due originario, da cui procede l'idioma singolare triale.
"Se Lei va fuori Firenze, percorre alcuni itinerari, Lei vede Leonardo, Masaccio, i grandi trecentisti, Giotto". Nulla è sincronico. La simultaneità è di ostacolo a qualsiasi presa. È inconcettuale. Specchio, sguardo, voce. La condizione della storia e del pragmatico.
Ancora l'Etruria. Per la memoria. Per l'immemoriale della scrittura: "È un fiume che seguita a vivere in una parte della civiltà europea e italiana".

Questione, anche, di lingua. L'etrusco e il fiorentino. L'altra lingua e la lingua altra. Ciascuna volta, tanto nel labirinto quanto nel paradiso, la lingua della scrittura. Assurdo, ormai, il naturalismo, che serve il paganesimo di ogni epoca. Assurdo il naturalismo è già per i Macchiaioli, cui non interessa la macchia, ma lo sfumato, cioè la luce, la sua gradazione, la sua impressione, l'intendimento. Roberto Panichi attraversa l'intera gamma della filologia. Oportet studuisse, non studere. Infatti, la filologia non gli basta. La sua è una linguistica nuova. La linguistica consente alla strutturazione di farsi scritturazione. Dalla tripartizione del segno alla partizione, alla partitura, alla partita. E il tempo come divisione altra, non algebrica e non geometrica, non finisce. Roberto Panichi è scrittore dell'avvenire. E a nulla valgono i ricordi del fenicio, del romano, del precolombiano, del sumero, dell'egizio, dell'indiano, del cinese. "Quando conobbi Nada, non potei fare a meno di farle un ritratto". Era l'incominciamento? Era già il debutto. "Trovare la via è una cosa piuttosto lunga. Forse ci si arriva dopo trenta, trentacinque anni di ricerca. E mai in maniera definitiva. Ci si arriva solo in due modi: attraverso un'autenticità estrema e attraverso il sacrificio". Il sacrificio: le cose si dicono, si fanno, si scrivono, si cifrano. Ancora il sacro. Ancora la parola originaria. […]

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