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I cacciatori delle selve edeniche

I cacciatori delle
selve edeniche

acrilico su tela, cm 43x67
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Pantera nell'Eden

Pantera nell'Eden

tecnica mista su tela,
cm 43x67
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Le foglie vive

Le foglie vive

tecnica mista su tela,
cm 60x80
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Finestra chiara con frutta e figure

Finestra chiara con
frutta e figure

olio su tela, cm 150x100
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Bambi

Bambi

tempera su tela,
cm 60x80
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Intervista a Saverio Ungheri

di Armando Verdiglione (estratto)

ARMANDO VERDIGLIONE Nella tua opera c’è un ulivo o un uliveto?
SAVERIO UNGHERI Ne traggo l’ispirazione. Gli ulivi sono gli alberi della mia terra. Nella terra in cui sono nato gli ulivi li curavo, perché in fondo noi eravamo proprietari terrieri. L’ulivo è un albero vivo…
Antico. Ci sono ulivi in Palestina che sono del tempo di Gesù.
Noi abbiamo ulivi alti quindici, venti metri. In Toscana si producono tante olive, in Calabria noi produciamo più foglie che olive. Ma abbiamo boschi di ulivi, sterminati, che proseguono per centinaia e centinaia di metri.
Sopra tutto ulivi, o altre piante?
Anche agrumeti. Poi c’è il sotto agrumeto, con colture varie.
Il raccontare era qualcosa che veniva usato nella tua famiglia? Ti raccontavano aneddoti, storie…
Ai tempi dei nonni, c’era un insieme di leggende che si tramandavano e che creavano la nostra maniera di vivere. La giustificazione della nostra esistenza veniva fuori anche da queste piccole cose.
Tua madre è ancora viva?
I genitori sono tutti e due morti a 83 anni.
Era più giovane, la mamma?
Sì. Era vent’anni più giovane di mio padre.
Quindi è morta vent’anni dopo.
È morta venti anni dopo, sì.
Vent’anni dopo, però alla stessa età. E poi tu sei partito dal paese.
Sì, sono partito dal paese, altrimenti avrei fatto la fine anch’io del piccolo proprietario terriero che va a curarsi le terre. Io volevo fare il pittore, volevo uscire da quell’ambiente.
Però, lì avevi fatto il liceo classico, non avevi fatto il liceo artistico.
Non c’era. C’era il ginnasio e il liceo classico. Dopo il diploma sono venuto a Roma approfittando della cartolina precetto, come soldato.
Ed è a Roma che hai fatto invece l’Accademia.
In parte mi sono preparato sotto le armi. Ho trovato tra i superiori militari molta affabilità e approvazione verso i miei studi.Nelle scuole secondarie al ginnasio,
al liceo, c’era qualche maestro di disegno bravo?

A quei tempi non facevamo disegno. Nel ginnasio non c’era il disegno.
All’Accademia hai conosciuto Monachesi...
Sì, era assistente all’Accademia, alla facoltà di scenografia. Io mi ero iscritto a scenografia perché non c’erano posti in pittura né in scultura. Vi sarei passato in seguito, ma ho frequentato per due anni e poi non ho proseguito.
Però hai fatto pittura.
Pittura e scultura.
Entrambe. Dicevi che non hai aderito al gusto dell’epoca; seguivi la tua strada. Gli anni cinquanta erano l’epoca del naturalismo e dell’informale.
Però, tu seguivi la tua strada. Così, anche negli anni sessanta, c’era l’epoca della pop art di cui non c’è traccia nella tua opera.

C’è qualche traccia all’inizio degli anni sessanta.
Sì, ma con ironia. Non è che tu aderisca alla pop art!
No, non ho aderito. Eravamo solitari, noialtri. Questi movimenti provenivano dall’America. Erano club organizzati. Noi eravamo fuori da questi. Eravamo giovani.
Nei club organizzati erano tutti anziani. Ricordo che gli scultori allora in voga erano Fazzini e Monteleone, che è stato mio maestro per la scultura.
Monachesi...
Monachesi era assistente in scenografia. La pittura l’ho fatta da me, non ho avuto maestri, non mi sono ispirato a nessuno. Mentre sono stato a bottega da Monteleone per imparare il bassorilievo, per imparare la scultura.
Quanti anni avevi, quando è morto tuo padre?
Mi è morto tra le braccia, mio padre. Ero sposato e avevo una bambina, quindi dovevo avere non meno di venticinque-ventisei anni.
Dicevi che lo scuotevi per ravvivarlo, non accettavi la morte.
Non accettavo la morte. Era la prima morte che mi succedeva vista da vicino, di persone care, persone veramente amate. Mia madre, da lontano, mi diceva: “Lascialo, lascialo, non capisci che è morto? Saverio, lascialo, lascialo: è morto!”.
Tua madre è colei che ti ha serbato materiali, tele, opere, colori del nonno materno e tu hai sentito un po’ questo destino che ti veniva dalla famiglia e che consideri come una specie di agevolazione.
Un privilegio.
Non hai dovuto fare tutto di punto in bianco, per dir così, ma c’era questo terreno.
Questa eredità.
E poi a Roma hai proseguito, facendo tu stesso una specie di scuola, aprendo il tuo atelier per fare esporre i giovani.
Volevo aiutare gli artisti, perché io non ho avuto aiuti. Quando sono arrivato a Roma, ero solo.
Non hai avuto aiuti, tranne dalla famiglia, dal nonno.
Sì, ma dal di fuori non era facile avere appoggi.
C’è qualche giovane di cui tu hai esposto le opere, che hai in qualche modo incoraggiato e che poi è diventato importante?
Sono passati da me tanti giovani di cui non ricordo nemmeno il nome, che hanno proseguito per la loro strada. Qualcuno l’ho ritrovato in mostre ufficiali.
Ci sono stati incontri, ciascuna volta un incontro ma senza un seguito.
Senza un seguito. Non lo cercavamo questo seguito. Con questi giovani, il rapporto era quello tra un pittore giovane e un pittore più anziano, che voleva dare una mano al giovane.
Dicevi che forse questa non accettazione della morte di tuo padre ti ha portato a inventare sculture, in qualche modo, vive.
Mi ha portato a fare le mie sculture pulsanti…
Le pulsioni.
Il battito cardiaco è nato proprio da questo, di voler far nascere la vita che io avevo sentito sparire in mio padre.
Questo può essere un aspetto. Tua madre ti amava?
Moltissimo. Io mi sentivo molto amato da mia madre e l’amavo moltissimo anch’io. Però, sono stato cresciuto dagli zii. Eravamo sei figli. Mia madre non poteva seguirci tutti. Io sono stato dai prozii materni. Sono stato allevato da loro.
Perché avevano un po’ più di tempo?
Non avevano figli: e per questo figlio adottivo, che ero io, avevano un amore straordinario.
Questo, quando i tuoi andavano a lavorare.
No, no. Sempre. Stavo con loro. Mi trasferivo. Non abitavano nel nostro paese. Stavano in paesi vicini. Io andavo da zia Rosina quando ero piccolo, ero alle elementari. Stavo lì e imparavo l’abc…
Ti dedicavano più tempo, perché avevano più tempo a disposizione. Le prime mostre, quando le hai fatte?
La prima nel 1960 alla galleria San Marco, in via del Babuino a Roma. Avevo esposto duecento opere. E questa è stata la prima in assoluto.
E dove sono queste duecento opere? Sono state vendute in quel momento?
Sì, tutte.
I tuoi collezionisti chi sono?
Una volta tenevo il libro dei collezionisti, un quaderno che non sono più riuscito a trovare. Avevo un elenco alfabetico, con l’elenco delle opere e dei collezionisti. Un quaderno che ho tenuto per cinque-sei anni.
Tu hai fatto dei lavori per enti pubblici e per molti cittadini privati.
Collezionisti privati, anche importanti.
Una grande mostra è stata quella alla galleria “l’Obelisco” di Roma.
Sì, quella del ’73.
Invece quella a Palazzo dei Diamanti a Ferrara, l’hai fatta su impulso dato da Franco Solmi.
È venuto per caso a vedere la mia casa a Roma.
Aveva visitato il tuo atelier o una tua mostra?
Il mio atelier. Mi ha detto: “Al Palazzo dei Diamanti porta anche le ragnatele che stanno qua dentro”. L’installazione dell’ambiente gli piaceva.
In che anno?
La mostra a Palazzo dei Diamanti è stata nel 1982.
Due grandi mostre a distanza di dieci anni una dall’altra. Dicevi che un vero interlocutore, forse non l’hai trovato, interlocutore rispetto alla tua arte,
né fra i critici né fra altri artisti.

Forse non l’ho cercato. Ma è vero, non l’ho trovato. Ho trovato molti critici che mi hanno seguito, altri che non hanno visto niente.
E che hanno detto la loro.
Sì. Parecchi hanno scritto. Decine e decine di articoli.
Ma non hai trovato interlocutori veri e propri. Interlocutori assolutamente decisivi per il tuo itinerario… Questo non è avvenuto.
No. Non ho avuto guide in nessun modo, in nessuna maniera.
Le letture hanno sempre affiancato la tua opera, oppure ci sono periodi in cui tu leggi e periodi in cui non leggi?
Di solito, leggevo sempre. Il fatto di leggere era un momento di pausa. Leggevo per due ore al giorno libri di fantascienza o di critica d’arte.
Cosa leggevi di fantascienza?
Romanzi di buona firma, di Asimov, per esempio.
E di letteratura…
Letteratura italiana.
E poi naturalmente anche di arte. Avendo studiato al liceo classico anche la storia dell’arte.
Il liceo classico mi ha aiutato moltissimo. Ero un gradino più avanti dei colleghi che non l’avevano fatto. Io avevo fatto il greco, il latino.
Tu hai fatto spesso visita ai musei, alle mostre che si facevano a Roma.
Certo, visitavo le mostre e quelle che non riuscivo a vedere a Roma, le seguivo a Venezia o in altre città.
Alberto Bragaglia, l’hai incontrato qualche volta?
Probabilmente, l’ho incontrato anche personalmente, però non ho memoria delle sue caratteristiche fisiche.
E all’estero sei andato a visitare mostre … Sei stato in America?
No, in America non sono stato. Siamo stati in Germania, in Austria, in Iugoslavia, in Francia e in Spagna…
Sempre con la moglie.
Sempre con la moglie, e per viaggi culturali. Per visitare gallerie d’arte e musei. Gallerie e musei. Questa era la base della nostra ricerca, anche quando si andava con amici, la ragione principale non era quella di andare al mare, era quella di visitare cose importanti nelle città, dove passavamo. […]

L'intervista in versione integrale è disponibile nel libro "Artisti" di Armando Verdiglione.

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