Marco Castellucci  
     
 

La limpidità dell'acquerello

di Erik Battiston

L'acquerello è un lenzuolo d'aria che si disegna di parole chiare fatte di silenzio. E si dipinge delle ombre bianche del crepuscolo. Quasi al limite del sonno. E non è forse il velo, quel velo che nella favola di Castellucci diventa marmorizzazione, a vestire di sonno leggero il paesaggio? Il sonno delle cose: niente affretta o rallenta il compimento. Il sonno fruttuoso e superfluo.

Che cosa dei tetti, dei borghi, di questa o di quella via che il titolo delle opere inventa, resta? Che cosa del mare, le colline sul mare e poi delle nuvole, quelle opache, quelle evocate appena, quelle che fanno le acrobazie in cielo, resta? Nuvole (2005).

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Paesaggio padano, estivo, urbano, informale. Il paesaggio, il ritratto delle nuvole, delle vorticazioni dell’aria in diagonale. L'impressione di un istante, qui, si scrive. E si scrive ragionando. "Tante volte, mi trovo a guardare un paesaggio e a pensare come dipingerlo con l'acquerello. Bisogna ragionare in negativo". Non in modo ordinario come se la vita fosse un calvario. Pensare guardare ragionare. Nessuna ragione illuminista. Bisogna ragionare. È un'occorrenza.

L'acquerello, "l'immediatezza di risultato", scrive Castellucci. Quell'istante per cui è impossibile scegliere. L'idea non agisce, non opera cioè per la scelta, per l'idea di bene. L'istante. Impossibile scegliere. L'acquerello. L'istante della decisione. Per non cedere all'abito, all'abitudine e lasciarsi andare. L'istante della vita: l'istante senza purismo. L'istante per fare. Abbandonarsi a Dio, al risultato pensato immaginato creduto facile? Allora, nessun acquerello.

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(Estratto dal volume L'acquerello di Dio)

   
   
 
 
 

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