Ferdinando Ambrosino  
     
 
 
 
L'OPERA DI FERDINANDO AMBROSINO. EPIGENESI DI UNA LUCE UMANA

di Roger Dadoun



Al primo approccio, il colore: solo, massiccio e vibrante, nel riposo o nel furore, discreto o espansivo e violento; un colore che gode di sé nelle sue più segrete risorse, nelle sue adescanti plaghe. Ma ci sono anche i piani e le linee, le macchie e i filamenti.

Banchi di colore netti, dal geometrismo a volte rigoroso e severo, delimitano il quadro; piani di colore, già più interni, meno disciplinati, assicurano la costruzione, un’architettura dalla leggibilità a volte tortuosa, torturata, in cui si danno a vedere un evento, un intrigo, la scena di una drammaturgia. L’urto, la complicità, la concatenazione delle superfici, con il loro imbrogliarsi, abbozzano, e più spesso impongono con veemenza, vie di significazione.

Tra i piani periferici, che fungono da cornice, addirittura da guardiani, e le superfici interne s’instaura un conflitto, che si nutre dei valori intrinseci di queste stesse superfici, che a volte tendono verso un geometrismo chiaro, ben costruito, classico, sia pure dall’andamento laborioso e precario, a volte si obliano, si frammentano, si distendono, dandosi a ogni sorta di gesticolazione. Il pittore dà libero corso a un’immaginazione della materia: una materia terrosa, che dispiega valori geologici sordi o vivaci, grigi di fango o di ardesia, ocra e bruni secondati o respinti da gialli sabbiosi o da bianchi gessosi che a volte si spingono fino a un calcareo esibizionismo. Il rosso e il blu, allora, inclinano a un traboccamento dionisiaco generalmente ben temperato; e di colpo, in un conflittuale concerto cromatico, il bianco, assediato, rilascia il bagliore di una “metamorfosi”.

Tutto sarebbe semplice se queste geologie, questi paesaggi, queste vegetazioni, queste strutture di colore terrose servissero da supporto all’apparizione, all’evento, all’epigenesi di una luce che viene offerta in piena evidenza. Ma a queste lotte manichee, a queste cromatomachie viene intimato di accogliere la presenza dell’uomo: una presenza nervosa, inattesa, imprevedibile, di un volontarismo sbrigliato percepito come forma elementare di libertà.

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Bibliografia

Il materiale pubblicato in questo sito è tratto dal libro d'arte a tiratura limitata: Ferdinando Ambrosino, L'icona mediterranea, Spirali 2003.