L’ICONA MEDITERRANEA
di Armando Verdiglione
Un bel mattino di Pasqua, voi arrivate a Napoli. Ammirate il golfo, la collina, il monte. Vi soffermate sul mare, sull’orizzonte, sulla luce. Visitate il Castel dell’Ovo, il Maschio Angioino. Poi entrate a Palazzo Reale: corridoi, scale, stanze, soffitti. Avete già studiato proprio tutto? Allora, scrutate, compulsate, sfogliate, leggete ciascuna opera. L’azzardo, l’incontro, il rischio.
Qualcosa incomincia. Qualcosa debutta. Per ciascuna opera s’instaura l’interlocutore. La memoria si scrive. E trovate il vostro avvenire attuale. L’oralità è l’altro modo della scrittura. Le arti e le invenzioni del cielo e del paradiso sono convocate a scriversi.
E ciò che voi vedete, lo udite: va e viene, in una comunicazione da lontano. La metrica è pioniera dell’aritmetica del viaggio di qualificazione. Le epoche si dileguano, nell’eternità di ciascuna opera che voi leggete. Il museo è il film della civiltà: il testo giunge alla cifra. Questa acquisizione del classico è il messaggio, che conclude la vostra saga con l’estrema prova di verità e di riso, effettuali. Non avete da interpretare né da commentare né da decifrare nulla: il museo offre la cifratura della vostra vita.
Voi uscite da Palazzo Reale e arrivate a Capodimonte: la collina, il giardino, i bambini, i fidanzati, il turismo intellettuale dell’umanità. Voi entrate nelle varie e differenti sale del monumento: altre opere, altre testimonianze di quanto avverrà, inatteso, altre scritture alle pareti, sui pavimenti, ai soffitti. Camminate, percorrete, guardate: ciascun dettaglio, la punteggiatura, il ritratto del vostro viaggio.
La spaziatura non ha confini né delimitazioni: dalla traccia come modo del due originario al modo dell’anatomia nella videomatica della sembianza e al modo del tempo nella batteria della soddisfazione e del profitto intellettuale.
E non c’è più stanchezza: la questione intellettuale risulta ineludibile. E non c’è più tristezza: il dispositivo della rivoluzione della parola è dispositivo di allegria, dispositivo di forza. E mai più voi vi smarrite: il museo conclude il vostro viaggio, la vostra domanda è intellettuale, voi non perdete la direzione.
Piano terra, primo piano, secondo piano. Forse terzo piano? Non ci sono più né il piano né il lineare né il circolare: Capodimonte s’inscrive nella vostra navigazione intellettuale. E vi ritrovate, la sera, sul vostro terrazzo, per ascoltare qualcosa che non è né vicino né lontano. Questi lembi di luce, voi li ritrovate di buon mattino. Il mattino dell’Angelo.
L’incontro con Ferdinando Ambrosino non si può storicizzare. Ciascun appuntamento è la condizione di un dispositivo nuovo. Di un dispositivo che si rivolge alla novità assoluta della sua intera opera. Voi attraversate la strada che si fa di monumenti, di case, di ciò che resterà della memoria.
Voi vi accorgete della vostra missione. E nulla vale in sé e per sé. Ciascuna cosa dell’intellettualità è tratta verso il valore assoluto. E un valore assoluto è l’amicizia con Ferdinando Ambrosino, con la sua famiglia, con la sua opera. I villaggi, il mare e la collina: voi ritornate ancora a Bacoli, dove da sempre eravate con Ferdinando Ambrosino e dove propriamente non potete affermare di essere mai stati.
Il paesaggio immemoriale. Il paesaggio come ritratto e come scrittura. Il paesaggio come qualità della vostra vita. Cuma, la Grecia, Roma. Il Mediterraneo: dai fenici agli ebrei, ai cristiani. L’Europa che vale l’eternità delle galassie in ciascun istante dell’opera di Ferdinando Ambrosino. La traccia della vostra vita, la famiglia, la terra. Dall’oracolo all’enigma dell’ospitalità e della diplomazia. Fino al vantaggio intellettuale della Pentecoste. Senza più Apocalisse. Senza più nascondimento. Senza più segreto. Fino al piacere. Fino all’approdo alla qualità.
E vi accorgete che Ferdinando Ambrosino ha tratto l’essenziale della sua famiglia, come della storia e dell’impresa, verso la salute intellettuale, verso l’istanza di cifra. L’antro della Sibilla, la caverna di Platone, la spelonca di Leonardo: non c’è più Polifemo, non c’è più Monofemo, Odisseo è, ora, ben altro viaggiatore, ben altro messaggero. Segue a Edipo. Segue a Cristo. Segue a Dante. Ferdinando Ambrosino risulta, anche, la firma e la qualità intellettuale della sua opera. Napoli, Venezuela, gli Stati Uniti. E ancora: Parigi, Ginevra, San Pietroburgo. E di sicuro: Tokio, Venezia, Pechino.
Il viaggio viene da Gerusalemme. Dalla questione della nominazione. Ferdinando Ambrosino narra, racconta: il gestuale è il digitale, con cui si scrive l’esperienza originaria.
La terra non è un luogo. E anche il viaggio è senza luogo. “L’arte deve sentirsi. Deve esprimere ciò che si sente”.
La figura conferma tanto l’infigurale quanto l’infigurabile. E la forma, sempre altra, addita l’informale e l'informalizzabile. Ciò che si figura, si forma, si trae, arriva a scriversi. E voi entrate, con Ferdinando Ambrosino, in uno specifico dispositivo di comunicazione. "I valori della mia vita sono i valori della mia pittura".
Quale pittura? Quale scrittura? Quale vita? Voi entrate nella casa e nell’atelier di Ferdinando Ambrosino. Che cosa si sottrae al viaggio? Il pavimento, la cornice, la parete, la trave, la ceramica, il mosaico, il recipiente, gli utensili, la finestra, la porta, la cancellata, la ringhiera, il balcone, il golfo, il pesce, il vino, il cibo: proprio nulla sfugge all’intellettualità.
Un’opera, un'altra, un’altra ancora: ciò che voi avete visto, udito, ascoltato a Palazzo Reale, a Capodimonte, fra le case, i monumenti, le vie di Napoli o lungo la riva del mare, le onde della vostra vita, le onde della luce, le onde delle arti e delle invenzioni, le onde della pittura come scritturazione costante e incessante, tutto ciò, voi lo leggete. Ora. È il museo di Ferdinando Ambrosino. Il suo museo. Il vostro museo. Il vostro film.
E l’icona non è più la stessa. Non è più l'icona bizantina. Non è più l’icona, pur rivoluzionaria e moderna, di Rublëv. L'icona di Ferdinando Ambrosino è l’icona di Napoli? L’icona della città planetaria? L’icona del Mediterraneo? L’icona dell’Europa? L’icona della civiltà? L’icona di Ferdinando Ambrosino è il capitale della vita originaria. Della vostra vita. Così, ciascuna opera partecipa a questa iconografia. Ciascuna opera è questa icona.
[...]
Torna a inizio pagina |