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Tornano in mente gli incontri passati
di Alekseij Lazykin
Sono stato alla mostra di Barto. Da qualche parte, nel passato, davanti alla mia memoria lavora, si muove, canticchia una persona alta, dall'aspetto imponente, fronte sporgente di studioso e mani forti di artigiano. Sui capelli bianchi, l'immancabile papalina; nelle orbite degli occhiali, occhi sporgenti in cui si celano sagacia e malizia.
È l'artista Rostislav Nikolaevich Barto.
Fuori della finestra, un vasto cielo. Senza terra. Da una gabbia si mette a cantare un raro usignolo d'oriente, gli rispondono gli uccelletti nella voliera domestica. Un acquario sul davanzale. Letteralmente, un acquarello vivente.
L'artista lavora stando in piedi al tavolo. Quando termina un foglio esulta: un tale piccolo elemento...
Barto incominciava ogni suo discorso, secondo l'usanza antica, rivolgendosi con gentilezza: mio caro, caro, molto egregio...
L'allegra benevolenza, quella sua galanteria cerimoniosa attiravano a lui persone di diverse professioni, mentre il suo talento elevava lo spirito degli amici e affermava la gioia di una vita intelligente. Ma Barto non era uno che perdonasse tutto con benevolenza. Quando si trattava di chi immeschiniva i principi dell'arte, egli non era esente da sarcasmo, non di rado condito da mordaci epigrammi.
In vita, Barto non fu ricoperto di onori — cosa di cui andava orgoglioso. Scherzando, si annoverava nel "club degli ignudi". Tuttavia ciò non significava che la sua vita fosse povera. Era il mondo a essere misero. Egli infatti sapeva lavorare, godere della vita, creare un proprio spazio ricco e generoso. [...]
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