"Avvenire", 13 ottobre 1970
[...] Macchine, dunque, non fini a se stesse, bensì ideate e costruite per proporre
"un discorso artistico" e, allo stesso tempo, promuovere "una caratterizzazione ambientale".
Insomma, oggetti destinati alle pareti di un determinato ambiente, soffusamente luminosi come le vecchie e care “abat-jour” delle nostre nonne.
Luminosi, s’è detto, ma a forma di pesce, di cuore o di occhio umano, vibrati da palpiti elettrici come un orologio a pendolo o un metronomo che scandisce il flusso del tempo. Oggetti che avverti germinati sul filo di un dadaismo estremamente cerebrale, composti
da una miriade di “objets trouvés”, che trovano la loro migliore suggestione nella carica
di un surrealismo bene instaurato tra l’ironico e il patetico.
Vada a vedere il nostro lettore il cuore macroscopico elaborato da Ungheri in gomma sintetica che batte come un cuore vero: certo, piacerebbe a Barnard che del cuore umano ha fatto un oggetto da manipolare al pari di un giocattolo meccanico.
Ma il cuore costruito da Ungheri con amara ironia tutto sommato rappresenta il simbolo della dissacrazione violenta e irreversibile operata dalla scienza dentro i confini ancora misteriosi della vita umana. |