Vincenzo Accame
 
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Vicenzo Accame
Premessa a Luoghi linguistici

Queste pagine, indipendentemente da qualsiasi ipotesi di convergenza (con la pittura)
o di divergenza (dalla poesia), rinunciano, quasi per assunto, e per quanto possibile, agli apporti esterni (e forse esteriori) del colore, della materia, della figurazione o altro, privilegiando un segno ascetico, scarno, immediato, nel tentativo di raggiungere l’assolutezza “astrattiva” di un segno linguistico che vive in sé, dotato del massimo di autonomia e del minimo di implicazioni “mondane”. Diciamo pure che di questo ascetismo… ne sentivamo il bisogno.

L’interrogativo riguarda semmai l’hic et nunc, il momento rappresentato da questo 1989 nel contesto storico di un lavoro come il nostro, che ha da sempre evidenziato il percorso, la logica della causa e dell’effetto, l’impossibilità di tornare indietro e, in definitiva, l’ineluttabilità della progressione e dell’invenzione. Perché oggi e non ieri? La risposta non pertiene probabilmente all’estetica, non è connessa a una scelta teorica, ma appartiene soltanto all’ordine fisico delle cose. Nel senso proprio della fisicità che governa il gesto di scrivere.

Con il tempo si modifica il peso della mano, cambia l’adattabilità allo strumento.
In questo caso, appunto, è lo strumento matita che ha trovato un diverso uso nel gesto.
Quello che qui muta, rispetto alle tele coeve, ampie, in cui la scrittura si distende discorsivamente, e a volte persino narrativamente, in una progressiva appropriazione dello spazio, è la concezione del segno. Quello che qui cerchiamo di evidenziare è un segno concentrativo ma semplice, elementare: come semplice e elementare è di per sé il segno grafico della matita nera fatta scorrere sulla superficie bianca della carta.

Così, messe di fronte al bianco della carta e al nero della matita, senza altri supporti, senza mediazione alcuna, la mano e la mente sono costrette a una invenzione diretta, continua, assoluta. Consideriamolo un esercizio di austerità, se vogliamo. L’interazione fra i vari tipi di segni, sia chiaro, rimane sempre l’elemento strutturante di qualsiasi operazione che si svolga nell’ambito della scrittura, e questa deve semmai venire considerata “una ricerca nella ricerca”.

Tuttavia, prima di oggi (forse è un caso!), mai ci si era presentata questa possibilità di ricondurre la traccia grafica a una segnicità così essenziale sotto il profilo linguistico (anche per l’intensità del valore della parola e la verbalizzazione dei nessi grafici); o, se si preferisce, nessun tentativo in tal senso era risultato appagante. Se è pur vero che anche le citate tele coeve, scritte in altra dimensione estetica, potrebbero definirsi “luoghi linguistici”, queste pagine, nei loro confronti, vengono ad assumere il ruolo di paradigmi; diciamo che rappresentano quella “ratio prima” che la componente emozionale a volte nasconde anche al fruitore più attento.

Nessun artista,del resto, riesce a rinunciare a qualche zona d’intimità. Nelle grandi tele, probabilmente, c’è l’opera; qui, in queste pagine, ci sono le ragioni dell’opera.

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