Vincenzo Accame
 
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Inediti
 
 

Germano Beringhelli
Forme e colori

C’è dell’arte, o c’è stata, per molto tempo, dell’arte il cui valore vitale poteva essere assunto dall’osservatore attraverso quella qualità distintiva che i filosofi e i critici chiamano intuizione estetica. Il giudizio su questo tipo di arte si poteva derimere e lo si può ancora derimere per mezzo di un’operazione ordinata con l’indagine formale, percettiva.

Tra scrittura e segno c’è, linguisticamente parlando, una notevole differenza.
Scrivere è tracciare su una superficie i segni convenzionali di una lingua relativi ai segni vocalici e consonantici che formano le parole in modo che possano essere lette.

Segnare è notare, distinguere con un segno, individuare con una traccia, con un riferimento, provocare con una alterazione, con una incisione, una rigatura, una scalfittura lo stato primitivo di un foglio, di una superficie, eccetera. Materiale verbale e grafico coesistono nella registrazione verbo-iconica, ovvero nei rimandi che l’immagine con la sua forma invia al senso della parola, ai suoi significati. Scrivere una parola è esteriorizzare visivamente un concetto. Scrivere è perciò anche tradurre graficamente una parola in immagine visiva.

Dedurne, pertanto, che scrivere è rivelare una condizione della espressività, della sensibilità
e del pensiero è ovvio. S’è più volte scritto di quegli “operatori artistici” che, elaborando le relazioni tra segno e significato nell’immagine che è della parola, hanno svolto, nel tempo,
un buon servizio alla demitizzazione dell’arte e a quella della poesia, rimandando da un territorio “privato” all’altro tutta una serie di problemi interferenti.

Tra questi operatori, è Vincenzo Accame, poeta “verbale” poeta “visuale” che espone alcuni “appunti” di scrittura. Ho scritto “appunti” nel senso del significato che la parola indica:
fermare i punti salienti, evidenti, di un discorso, indicare con brevi annotazioni una pluralità di proposizioni, di significati. Che è il senso, mi pare, del linguaggio figurativo, o della figurazione del linguaggio, con cui Accame ci comunica l’attività visiva dei segni che distendono parole e, contemporaneamente, delle parole che rimandano, per il loro strutturarsi segnico in un foglio, al proprio significato visivo.

In questo ondulare di elementi linguistico-visivi Accame pone la propria sensibilità intellettuale ed estetica componendo una sorta di poesia-pittura che tiene conto delle possibilità visive della scrittura (direzione, intensità, colore) e delle suggestioni compositive che la visibilità rimanda all’intelletto. Nel caso ci viene da Accame, dall’opera sua, un procedere sensibilissimo, quasi intimo e naturalistico, anche se la “natura” è, in questo caso, una sorta di condizione poetica fruttata dagli scambi reciproci del segno e della scrittura e dal loro porsi o sovrapporsi sul campo visivo, sul foglio, sul quadro.

I significati si fanno e si sfanno, così, nei segni, rimandano a una fisicità pittorica che compenetra di toni (la “poesia-visuale” di Accame è tonale, mai timbrica) la graficità della parola caricandola di significato simbolico.

("Il Lavoro", 9 aprile 1974)

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