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Antonella Bertazzoli
Mappe verbali
Un approccio critico alla produzione scritturale di Accame non può prescindere dal considerare i fondamenti teorici da lui stesso condensati nell’equazione “arte=cultura=comunicazione”, valevole in generale per tutta l’area delle poetiche verbo-visuali ma verificata e controllata con estremo rigore nel corso della sua prassi scritturale.
La tendenza interdisciplinare tipica dell’arte contemporanea trova una originale espressione nella proposta — teorica e operativa — di una nozione allargata di scrittura, in cui gli elementi visivi che caratterizzano la scrittura fonografica (grafia, dimensione, colore, disposizione spaziale) ed altri elementi del linguaggio visivo costituiscono un particolare sistema semiotico accanto a quello verbale.
Entrambi questi sistemi semiotici interagiscono a formare “luoghi linguistici”, nebulose semantiche il cui senso non è mai totalmente o univocamente districabile ma che pure esiste sebbene ambiguo, metamorfico, allusivo, sospeso tra ciò che è leggibile e ciò che non è leggibile.
La struttura polifonica, l’emissione simultanea di parecchi messaggi di carattere differente che si completano convergendo e divergendo, costituisce uno stimolo inusuale per l’immaginazione del fruitore, sollecitato contemporaneamente e interattivamente sul piano logico-discorsivo e concettuale come su quello percettivo-sensibile, e invitato a intervenire attivamente nella decifrazione dei sensi possibili, ma è al contempo il risultato di un preciso atteggiamento critico nei confronti sia delle potenzialità espressive dei mezzi tradizionali della poesia sia del linguaggio verbale-lineare tout court, considerato un modello comunicativo restrittivo, che sacrifica e snatura il linguaggio degli stadi anteriori o le forme d’ideazione che precedono e preparano il pensiero concettuale.
Integrare — tramite la “segnicizzazione” della scrittura fonografica e il suo ampliamento a un più vasto universo di segni che non siano solo quelli verbali — il pensiero preconscio, rendere giustizia alla multilinearità dell’ideazione, sacrificata dalle costrizioni imposte dal principio della linearità o dal criterio del solo verbale, sono i vantaggi offerti da questo modello poetico o più in generale comunicativo, che ben si addice — nella sua frammentazione e nella sua multidimensionalità — alla visione non più longitudinale, consequenziale, ma sempre simultanea e soprattutto relativistica dell’uomo contemporaneo.
Quanto detto sopra ci conduce all’ultimo termine dell’equazione di Accame, a quel valore “comunicativo” che l’arte deve assumersi lontano da ogni facile cedimento al mero godimento estetico.
La scrittura di Accame è investita di una funzione diversa, che — nelle parole del Calvino delle Lezioni americane — consiste nel creare gli anticorpi che contrastino l’espandersi della peste dei linguaggi che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e d’immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule o sulle immagini più generiche, anonime, a soffocare — direbbe Dino Formaggio — l’attitudine simbolizzante e la forza dell’immaginazione proprie dell’uomo e il valore di “possibilizzazione” e d’invenzione proprio dell’arte.
(Dal catalogo …signes des idées…, Placentia ars, Piacenza 1994)
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