Salvatore D'Addario
 
 
 

Contributi di critica

 

Enrico Crispolti

Quella di D'Addario è, con tutta evidenza, pittura di segno, e lirica.

Di segno, perché costruisce la propria qualità di immagine sull'evidenza di pochi elementi, appunto di natura squisitamente segnica. Lirica, perché propone una natura d'immagine sostanzialmente evocativa. In effetti la pittura di D'Addario, e da diversi anni, ma ora con particolare chiarezza e sicurezza propositiva, mette in campo segni memoriali liricamente filtrati, in uno snodo in certo modo narrativo, nel loro ruolo di sottilmente allusivi, di captanti, in termini di immaginazione nella dimensione della memoria.

Il background di questa pittura, in senso culturale quanto direi antropologico, è tipicamente centroitaliano. Fra la certezza materica dei bianchi di Burri (che istituisce la ragione remota del campo pittorico) e il segno evocante ed errante di Licini (che in quel campo costruisce l'evidenza arcana d'una possibilità d'immagine). Ma anche nel senso d'una più antica disposizione alla contemplatività lirica, alla commisurazione di spazi (nel suo caso interamente di dimensione interiore). In questo territorio marchigiano di sedimentata cultura ancestrale (nella quale converge anche la presenza di Mannucci e del suo segnismo materico, però al confronto più immaginoso e incisivo) D'Addario si muove con originalità e con coerenza.

I suoi sogni poetici, tessuti sull'evocatività allusiva del segno, sono in fondo come le pagine di una sottile introduzione a un'autobiografia lirica. Ove cioè non contano gli eventi, da narrare, ma le filtrate emozioni, sensazioni, sentimenti, da evocare entro il circolo della magia lirica. Un'autobiografia dunque tutta costruita su ascolti profondi, su attestazioni indirette e mediate, che il segno appunto decanta e trasforma in occasione d'un ragionamento quasi archetipo, aurorale.

L'insistenza sul bianco come campo è in fondo, credo, per D'Addario, la dichiarazione della costanza della pagina, altrettanto che il continuo (ma sempre immaginativamente rinnovato) ricorso al segno è, per lui, la certezza di quella scrittura lirico-evocativa. In fondo l'intenzione sua è proprio quella di trasformare il tempo vissuto in dimensione possibile di poesia, cioè nella realtà di un immaginare per traslato lirico continuo decantando all'estremo ogni suggestione, ogni pulsione, per risolverla nel flatus vocis del segno più puro ed elementare. Elementare anche cromaticamente, su quella pagina bianca. I suoi segni sono infatti di moderatissimo ricorso cromatico, e prevalentemente invece insistono sulla scrittura del nero su bianco. Proprio appunto come su una pagina. E, se mai, questa pagina può incresparsi in una presenza di materia pittorica più consistente, più corsiva, senza interrompere la sua assolutezza, tuttavia.

Come d'altra parte a volte il segno stesso vi ha quasi corposità oggettuale, aggetta insomma dalla superficie pittorica, come sua matericità segnica, in certo modo, insomma.

Ma tutto converge infine al traguardo della proposizione lirico-evocativa, che, in quei termini di riscontro quasi d'autobiografia, costituisce la realtà effettiva della pittura di D'Addario.

1984

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