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Virgì Bonifazi
Salvatore D'Addario espone a Macerata
Come annunciato con l'intervento del pittore Remo Brindisi, autore della presentazione in catalogo, si è inaugurata presso la galleria d'arte Ambiente di Macerata, la personale di Salvatore D'Addario, nato a Ariano Irpino e residente da moltissimi anni a Ancona ove vive e svolge attività di docente presso l'Istituto locale d'Arte. Qui conobbe e apprezzò lo scultore Mannucci il quale dimostrò per lui molta stima e ammirazione. Lo stesso Brindisi ne parla come “un geniale ricercatore da collocarsi fra gli artisti che determinano in anticipo un qualche evento futuro”, cioè un precursore di nuove tendenze o movimenti culturali e artistici.
Salvatore D'Addario, dopo un periodo di forzata assenza dalle mostre, dovuta a una pressante ricerca verso la “riqualificazione della superficie e dello spazio”, ha ripreso il suo cammino artistico dal 1976, partecipando al Premio Termoli (medaglia d'oro) e tenendo un'importante rassegna a Palmanova. Questo suo rilancio con la mostra di Macerata appare definitivo e netto. Le sue opere, difficili ai più, parlano un linguaggio apparentemente non facile, ma a leggerle attentamente si può afferrare quanto l'artista voglia dire.
In definitiva dalle bianche superfici (tele semplicemente incorniciate) si scorge il travaglio sentito dall'autore per esprimere, in sintesi, “la nuova percezione che l'uomo ha dallo spazio”. E questa percezione è presente attraverso liberi ed essenziali elementi (funi, angoli di carta, barre di colore, ecc.) che “costituiscono la materia che si sostituisce alla volontà dell'uomo”. Ogni opera, ogni atto di D'Addario è una ricerca che egli fa servendosi di poveri ed essenziali elementi senza alcuna preoccupazione di salvare l'estetica.
Il bello, il gusto estetico sono per l'artista cose passate. Per lui è importante dire cose, che, pur toccando la contingente attualità sociopolitica, possano essere espresse con poco e dire molto nel contempo. In effetti se ci si sofferma un po' a lungo dinnanzi alle tele di D'Addario e le si guarda nel loro insieme è facile scorgere un ritmo e una tensione continui e costanti, come una musica che batte incessantemente un ritmo martellante sino a stordirti o a inebriarti.
Le opere di D'Addario non vanno gustate, vanno capite e sofferte come le ha maturate e sofferte l'artista con l'intenzione (ammirevole) di dire tante cose con poca pochissima eloquenza.
1978 (pubblicato in “Il Resto del Carlino”, 24 febbraio 1978)
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