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Gianluca Bigi
Da Nirvana a D'Addario: l'unione del sé
Silenzio!
L'imperturbabile ironia, nella sensazione di vasto, di calmo infinito a cui ci riportano i blu intensi, per nulla dilatati – nelle ultime opere di Salvatore D'Addario – ristabilisce il senso fisico del reale pur spingendolo ai limiti di se stesso, mentre lo spontaneo atto d'osservare è risucchiato nelle profondità dell'elemento centrale del quadro: il ghiaccio abissale di una cosmica vulva.
La creatura anela a superare il sentimento del limite: la sensazione dell'isolamento. Il primo atto, alla nascita, è un atto di separazione. Prima la materica gestualità del nero diffonde l'aggressività nella percezione del vuoto: la purezza enucleata del nero liscio, levigato che attrae il fare tattile.
L'atto della riproduzione esige la fecondazione, la fecondazione dell'assoluto nel grembo del reale, nella vulva da cui scaturisce tutto ciò che vive. Così l'elemento plastico, la meccanicità degli oggetti centrali, conducono, oltrepassata l'emozione del galleggiamento, ad un osservabile non visto, ad un palese nascosto: simboli fetali del partorire, eterni paradossi d'astrazione.
Brandelli d'incontenibile, dirompente erotismo, lacerato dal graffio di follia dell'Ibrido, costituiscono il magnetismo paranormale del quadro che spinge il fruitore stesso al giocoso, continuo, accoppiarsi con l'opera d'arte.
1987 |