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Enzo Nasso
Piace ai poeti
Trascurando le somiglianze degli oggetti con la realtà, Salvatore D'Addario evoca magiche, invisibili armonie.
È un pittore che piace ai poeti, anche per il suo modo di comunicare nell'esistenza: un modo intonato al segno di una dignità che non ha mai niente di occasionale. Nel panorama dell'arte moderna Salvatore D'Addario emerge per una sua capacità peculiare di evocazione e di magia dell'oggetto, inteso in senso eracliteo, come armonia invisibile. Il tema della somiglianza tra immagine e cosa non gli appartiene. Egli riporta alla pura forza del linguaggio la realtà dei fenomeni, per rappresentarla in un rapporto psichico tra simbolo grafico e concetto mentale.
Dopo tante prove, i critici ritengono che la sua pittura abbia superato il limite dello sperimentalismo per notificare i suoi fini unitari e il suo significato teleologico, dal momento in cui le sue caratteristiche sintattiche e stilistiche appaiono chiaramente definite e assumono una cifra riconoscibile, quasi di prototipo tra le diverse e più moderne forme di comunicazione.
Nella prefazione al catalogo di una mostra alla galleria Il Modulo di Terni Carlo Emanuele Bagatti ha segnalato D'Addario quale unico artista emergente da una situazione culturale che, per ovvia prudenza, è delineata su misure provinciali ma che, in realtà, s'allarga al territorio del gioco intellettuale, dell'ambiguità della forma, dell'intellegibile e, in definitiva, della libertà estetica: problemi che investono, nelle più complicate dialettiche, tutta l'arte contemporanea. A D'Addario è giovata molto l'esperienza tecnica acquisita in molti anni di pratica magistrale dell'incisione e della serigrafia. Difficile, tuttavia, dimostrare ch'egli sia legato agli interessi dell'avanguardia storica, volendo procedere per classificazioni scolastiche. I riferimenti più immediati, se si guardano le sue tecniche miste, sono ad Alberto Burri e a Lucio Fontana. D'altra parte un punto di partenza deve esistere ed esser "dato" in un processo di evoluzione, così come Burri e Fontana trovano, in altri esempi, il proprio precedente. Ma la linea specifica della fantasia e dell'intuizione estetica di D'Addario va colta nel suo "operare", in quel modo di porsi con distacco, al di fuori dell'"arte sociale": di quella varietà dell'informale, cioè, che ormai corrisponde al gusto e ai gradimenti di massa.
Arte disumana, staccata dai contesti istituzionali della cultura, gusto effimero della parola a livello egodinamico? D'Addario si preoccupa soltanto della esecuzione linguistica, lascia ad altri il compito di chiarirne la competenza. D'altra parte è inutile, in una pittura che si presta più alla verifica della poesia che a quella della critica, ricercare correlazioni tra linguaggio e pensiero. Vale, in questo caso, soprattutto la fantasia del linguaggio, quel modo di istituire segni non determinati da atti di percezione o di giudizio, dove il puro sentimento e la pura forma si risolvono l'una nell'altra, acquistando l'effetto, quella magia appunto, che salva dall'arbitrarietà e illumina di contenuti la ricerca artistica.
1985 (pubblicato in "Specchio economico", novembre 1985)
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